Quelli che hanno la pretesa che tu li riconosca.... Ma andiamo con ordine. Avere una vita ricca di relazioni comporta il fatto di incrociare molte persone e solo un collezionista di facce accoppiate ai nomi dei portatori di quelle facce, solo un praticante dello sport della memoria fisionomica può ricordarsele. Sovente non si comprendono tanto bene le generalità della persona che viene presentata.
Tu pensi: pazienza, non è educato farsele ripetere. Ma per i presentati no, pazienza un corno! Diventano persecutori spietati, pretendono che tu abbia inciso a caratteri indelebili nome, ora, luogo, circostanze relative all’ultima volta in cui vi siete visti. Vi vengono incontro con un largo e cordiale sorriso, il volto illuminato dal genuino piacere di ritrovarvi, la mano destra pronta per una calorosa stretta di mano. Entrate nel panico: chi è, come si chiama, che cosa fa nella vita? Vi guardate attorno in cerca dell’aiuto di qualcuno che lo conosce e possa indirizzarvi sulla strada giusta, niente da fare, vi trovate in mezzo al deserto.
Prima tappa: ci diamo del tu o del lei? Per non sbagliare inizi con un generico: «Come va?». Lui risponde con un: «Non posso lamentarmi, grazie», che vi lascia al punto di prima. Se per prudenza lo apostrofate usando il lei arriva puntuale la sua protesta: «Ma come, mi dai del lei adesso, dopo tutto quello che abbiamo combinato? Non ti ricordi?». Vaghi nella memoria, alla vana ricerca di lontane carognate: cosa mai avremo mai commesso insieme?» Replichi: «Certo che mi ricordo. Solo che non sapevo se potevo ancora darti del tu, con la bella carriera che hai fatto». «Beh, carriera è una parola grossa, diciamo che il mio lavoro di bidello mi soddisfa e mi dà delle belle soddisfazioni». «E già, in effetti è un lavoro delicato, pieno di responsabilità». «Proprio così, anche se siamo sottopagati».
Bene, se la conversazione scivola sulle rivendicazioni salariali andiamo sul sicuro: «Eh, sì... sarebbe sacrosanto adeguare gli stipendi all’importanza del ruolo sociale che uno...» Ma lui ti interrompe: «Smettiamola con queste tristezze. Piuttosto, dimmi, hai rivisto qualcuno della nostra banda?». Banda? Di quante bande ho fatto parte nella mia vita? «No, mi pare di no?». «Strano, l’altro giorno ho incontrato davanti alla mia scuola Riccardo che era venuto a prendere suo nipote e mi ha detto che vi vedete sempre alla partita...». «Ma certo, come no? Anche lui faceva parte della nostra banda. Certo che ne abbiamo combinate di belle...». Ma l’amico misterioso non abbocca, non si sognerà di rievocare un episodio concreto.
Ti congederai con un’affettuosa pacca sulle spalle con il dubbio che ti abbia scambiato per un altro. C’è poi quello che ti dà del lei ma si stupisce di trovarti lì, nello stesso posto dove si trova lui: «Ma come, anche lei qui? Chi se lo immaginava... com’è piccolo il mondo...» Stai sulle generali: «Effettivamente... Qui ci vengo volentieri. Mi fa piacere ritrovarmi tra facce amiche...» «Io invece è la prima volta che ci vengo. Sono contento che lei sia di casa, le chiederò di presentarmi qualcuno dei presenti...» Se solo mi ricordassi il suo nome... Mi prende sottobraccio, sussurra con aria complice: «Approfitto dell’occasione per ringraziarla. Quella faccenda è poi andata in porto.» Faccenda? Abbiamo truccato un’asta? Abbiamo falsificato un testamento olografo? Vai a tentoni: «Non mi deve ringraziare, per così poco...» «E no, lei è stato la mia salvezza. Se non era per lei, per la sua telefonata... Stavo impazzendo dal dolore».
Ecco, ci sono, era di passaggio a Torino e io avevo chiesto all’amico dentista di riceverlo a studio oramai chiuso e di estrargli un dente. Ma il nome chi se lo ricorda. Ci sono poi quelli o più sovente quelle che non vorrebbero essere riconosciute perché si sono fatte la plastica. Maria Rosa ti viene incontro tutta tirata e ti sottopone al quiz: «Buongiorno, scommetto che non mi riconosci. Chi sono?». «Dunque, vediamo un po’. Secondo me sei la mamma della mia amica Maria Rosa». Che da quel momento continuerà a chiamarsi Maria Rosa ma non sarà più mia amica.
Infine ci sono quelli che solo a loro sono capitate storie straordinarie. Si riconoscono per la capacità di infilarsi in una pausa dell’appassionante racconto di una tua disavventura prima che tu sia arrivato al finale, per esclamare: «Questo è niente! Sapessi cosa è capitato a me!». Parte una narrazione mirabolante. Bisognerebbe essere pronti a replicare: «Non lo so e non m’importa di saperlo!». Ma come si fa? Le convenzioni sociali non lo permettono e poi lui è stato ad ascoltarti, sia pure pronto a interrompere. E così disponiamoci ad ascoltare: «Eravamo a Miami». (Mai che succeda in Brianza o nel Monferrato) «Eravamo dentro un ascensore all’esterno di un grattacielo di 208 piani». La moglie: «No caro, ti confondi con il grattacielo di Atlanta, qui i piani erano 112». Riprende: «Avevamo pranzato al ristorante dell’ultimo piano». La moglie: «Si chiama Roof Garden».
E avanti così, senza pietà.
Quelli che... dovresti riconoscere
/ 31.05.2021
di Bruno Gambarotta
di Bruno Gambarotta