Come giornalisti, siamo propensi a pensare ai passaggi di tempo, come da un anno all’altro, guardando ai tanti mondi che ci circondano. Raramente ci concediamo uno sguardo a mondi più intimi. Eppure, chi segue le vicende di Luigi di tanto in tanto su queste stesse colonne, dell’amico e collega Alessandro, sa che da ricordi semplici possono scaturire storie universali. Richiamano e fanno risuonare immagini comuni che offrono uno sguardo su chi eravamo, dove vivevamo, come vivevamo, mentre il grande mondo agiva con un suo spirito del tempo.
Così, nei giorni fra il vecchio e il nuovo anno, ricordando eventi e tentando bilanci, cercando di far ordine in questo mondo incasinato, si è insinuato un ricordo lontano: i due nonni paterni, la nonna materna, noi quattro figli, padre e madre dopo cena riuniti nel salotto di casa alla vigilia del nuovo anno. È l’ora dei bilanci dell’anno trascorso. Non cifre, ma eventi, liete sorprese e occasioni perdute, quello che è stato e quello che avremmo voluto fosse. Come introduzione, nostro padre leggeva il suo resoconto, scritto di suo pugno, gli occhiali da vista scuri inclinati per sottolineare la solennità. Lo chiudeva sempre con una nota di gratitudine per esserci ancora tutti, in salute. Premessa per accettare anche le avversità che la vita non gli risparmiava, di tanto in tanto. Seguivano i commenti dei nonni, noi ascoltavamo senza capire molto, ma anche un ragazzino di dieci anni poteva percepire quel senso di tempo lungo che traspariva dai loro ricordi e racconti: quell’anno aveva avuto la sua anima e veniva confrontato con quelli precedenti. Gli eventi di una vita venivano riordinati. La nonna materna Blanche aveva 24 anni quando scoppiò la prima guerra mondiale, viveva a Londra, da quattro anni in Inghilterra, emigrata per fare la cameriera dopo che i suoi non le avevano permesso di studiare pianoforte e canto al conservatorio, poiché una ragazza per bene non poteva fare l’artista – e i suoi ricordi sui dirigibili Zeppelin che bombardavano Londra, ripetuti a ogni anno che moriva, mischiati al ricordo dei timori di mia madre di essere separata dai genitori quando aveva 14 anni nel caso in cui i tedeschi avessero occupato Basilea durante la seconda guerra mondiale, si sublimavano infine nella gratitudine per esserci e di avercela fatta un altro anno. Poi i discorsi cessavano a un’ora precisa: l’ora della commedia dialettale svizzero tedesca. Ci si inteneriva ai drammi, si rideva dell’ironia della vita. Era un tempo leggero fra il vecchio e il nuovo. L’atto finale, passando alla Tsi, erano i suoni delle campane delle chiese ticinesi che annunciavano a volte malinconiche, a volte festose la mezzanotte.
Il giorno dopo, a pranzo dai nonni paterni per Capodanno, con le pietanze portate su un carrellino e servite su piatti decorati con scene di caccia inglesi in un blu aristocratico, in quella modesta e sonnacchiosa pensione al lago si sentiva già aria di nuovo. I discorsi degli adulti in abiti da festa (e noi col farfallino) erano di progetti per il nuovo anno, accompagnati da risate allegre. La torta di banane di nonna Marie era sublime. Il pomeriggio i nonni sarebbero sprofondati sul divano per godersi un telefilm davanti a un televisore in bianco e nero, cui un foglio di plastica con i colori dell’arcobaleno applicato sullo schermo regalava l’impressione di essere a colori. La catarsi dell’anno vecchio era avvenuta, la fiducia nel nuovo prevaleva. I riti erano compiuti, e si sarebbero ripetuti ogni anno.
Oggi, cinquant’anni dopo, nella realtà attuale quei riti, quei luoghi, quelle persone sono solo memoria. Ma è una memoria che custodisce una prospettiva storica. Il ricordo inconscio dell’essere umano di poter uscire dalle crisi più profonde. Che in questo momento può risultare molto utile per contrastare l’altro ricordo inconscio dell’umanità, quello dei traumi attraverso cui è passata. La pandemia li ha senza dubbio riattivati, la paura che ha scatenato, e specularmente la sua negazione, ne sono la prova. Ricordarci, in mezzo alla confusione della realtà, che siamo depositari anche di una fiducia innata nel domani può aiutarci a uscire da, o perlomeno a sopportare una condizione traumatica che un giorno sarà considerata passeggera. Consapevoli che ogni nuovo anno porta in sé il seme di qualcosa di nuovo.