Partiamo da un dato, per così dire, obbiettivo: l’universale è maschile. L’umanità è cosa di uomini, lo dice la radice stessa. C’è l’uomo della strada. L’uomo forte. L’homo sapiens. La donna della strada è una mignotta. La donna forte è una cicciona. La donna sapiens: non pervenuta. La lingua non è neutra, è rivelatrice. Dunque: in principio era il maschio. È maschio il verbo, il modello, il prototipo.
Poi ci sono le donne. Le donne sono altro. Altro dall’uomo. Definite da una difformità. Mancano d’un dettaglio fondante, e Sigmund Freud ci ha abituate all’idea che questa aporia provochi, nelle imperfette copie femminili del maschio, una forma più o meno feroce di invidia, l’invidia penis per l’appunto. È vero? Non è vero? Dipende.
La cosa certa è che, se si prende a modello il corpo sessuato maschio, quello femminile è mancante. Non ha il pene. Se si prende a modello il corpo femminile, il corpo maschile è mancante: non ha l’utero. Perché il ’900 non ci ha regalato una dottoressa Freud che teorizzasse l’invidia uteri? Perché quando ho partorito mio figlio, 40 anni fa, qualcuno, felicitandosi, mi ha detto, con soddisfazione: «Adesso ce l’hai anche tu il fallo!» Congratulazioni.
Auguri e figli maschi? Si parte di lì e si procede per negazioni o imitazioni. Vi elenco gli stereotipi: è maschia l’aggressività. Maschia la competizione. Sono maschie le ambizioni. È maschio il coraggio. Maschio sale agile sull’albero mentre non-maschio piange con la bambolina seduta nel prato. Maschio penetra, non maschio subisce. Maschio sceglie, non maschio aspetta di essere scelto. Maschio invecchia diventando pregiato come il parmigiano, non maschio scade come una mozzarella di bufala.
Questo accadeva nel passato e accade nel presente. Ma io, per fortuna o per imprudenza, vorrei pensare al futuro, che compare innanzitutto sotto forma di domande. Le domande scatenano l’immaginazione. La mia è questa: provando a considerare passata l’era in cui l’universale è stato maschile, che cosa accadrebbe se l’universale fosse femminile? Non: se le donne comandassero, se pigliassero a zuccate il soffitto di cristallo fino a ridurlo in briciole, se diventassero presidente imperatore papa... No, non ci interessa.
Che cosa succederebbe se le donne diventassero modello. Le donne, con la specificità del loro corpo, perché soltanto quella le unisce, le condiziona, trasforma il «sex» in «gender». Noi sappiamo bene che da un corpo diverso discende una diversa esperienza del mondo. Si vive con il corpo e con la mente e con l’anima, ma soprattutto con il corpo, purtroppo. Infatti è il corpo che si guasta invecchia e muore. L’anima è più resistente. È il corpo il fardello che ci rende umani. Umani? In un futuro a universale femminile come si chiamerà l’umanità? Donnità? Dovremo attraversare la fase del «donnesimo» essendo l’umanesimo trascorso e lontano? Scherzo, per quanto con il linguaggio non si scherzi.
Torniamo al corpo delle donne, che è diverso da quello degli uomini. Avere o non avere, nel proprio corpo, il dispositivo che trasforma il niente in persona, che ne cura la gestazione, che lo porta a maturazione, essere o non essere il corpo da cui esce il corpo dell’altro, fa differenza, è differenza. Le donne non hanno bisogno di parole, è il corpo che dice loro se sono o non sono madri. Gli uomini, al contrario, sapranno di essere padri se saranno nominati tali. L’unica verità del loro corpo è l’aver attinto al corpo della donna. Il maschile, è, perciò, culturale, non naturale. Dipende dalla parola: l’uomo deve dire e deve essere detto. L’uomo che non si appropria della parola retrocede alla barbarie del corpo, deve ripiegare sulla forza, sui muscoli.
Ma oggi non c’è più vantaggio a essere corpo maschile. C’era quando si combatteva a piedi, corpo a corpo. C’era quando il lavoro si eseguiva con le mani, con le braccia. C’era prima della rivoluzione Pinkus, l’unica grande rivoluzione del secolo precedente, vale a dire l’affermarsi della pillola. Prima di allora il dispositivo della procreazione non poteva essere disattivato e il corpo della donna era spossato dalla funzione riproduttiva, era in posizione di inferiorità. La forza maschile assumeva quindi un carattere di necessità: l’uomo doveva combattere, difendere, sostenere la femmina.
Oggi questa funzione, la forza muscolare del corpo, non è più necessaria. Il corpo femminile, sdoganato dalla riproduzione coatta, non ha più bisogno di protezione, può allenare i suoi muscoli, fuori e dentro la metafora. Oggi le donne possono disattivare il dispositivo che le rende animali, possono liberarsi dall’implacabilità della natura e vivere nella cultura. Possono insediarsi nel mondo delle parole. Anche se il loro corpo resta regolato dalla natura.
È terribile, ma anche meraviglioso, essere intelligenti, capaci di introspezione, forti della parola e, al contempo, attrezzate per essere natura, costrette a subirla senza potersi/volersi emancipare del tutto da quella debolezza che ti mette al riparo dal rischio di sentirti onnipotente.