Quel che serve a Trump

/ 21.09.2020
di Paola Peduzzi

Le catastrofi naturali sono poco maneggiabili da Donald Trump perché non gli permettono di trovare qualcuno su cui scaricare responsabilità e inadempienze. È per questo che tende a ignorarle, le catastrofi, o a trasformarle in battaglie ideologiche che non fanno molto per contenere la crisi – anzi, semmai la peggiorano.

La pandemia, il virus invisibile che colpisce e si spande indiscriminatamente, è l’esempio più calzante, oltre che la dimostrazione di quanto l’approccio negazionista sia letale. In Rage, l’ultimo libro di Bob Woodward, il giornalista del Watergate che ha un accesso straordinario alla Casa Bianca, Trump dice candidamente di aver voluto ignorare la pandemia: sapeva che la situazione era grave e che sarebbe peggiorata ma ha pianificato di non dire nulla agli americani e di giocare al ribasso sulla minaccia. 

Una decisione fatta per rassicurare e non allarmare troppo i cittadini? Macché: quel che non si riesce a gestire, si ignora, anche questa è strategia. L’effetto è evidente nel numero dei morti, nella guerricciola inutile scatenata tra Stati americani per conquistare respiratori e materiale sanitario, tutti invitati a un’asta in cui contavano soprattutto appartenenza politica e fedeltà a Trump. Ma è ancora più mortificante un altro dato: ci sono ancora persone che vengono ricoverate perché, seguendo il consiglio del presidente (se non ti fidi del presidente, di chi?), hanno bevuto il disinfettante o l’ammoniaca. Nella sua corsa negazionista, Trump ha via via suggerito antidoti semplici, il rimedio della nonna (sì una nonna fuori di testa) per gli accidenti passeggeri, come la carne cruda su una scottatura.

Anche questo è un aspetto della strategia: la situazione non è grave, basta qualche accorgimento. Ha un che di surreale che in questo meccanismo dei piccoli rimedi utili sia rimasta esclusa la mascherina, la più semplice e la meno invasiva delle metodologie di prevenzione che è subito diventata un simbolo politico. Il trumpiano non se la mette, la mascherina. Beve l’ammoniaca piuttosto, e aspetta il vaccino, un’altra chimera venduta come presente e reale, a portata di mano al punto che il presidente smentisce i suoi funzionari e consiglieri quando dicono in testimonianze ufficiali al Congresso che i tempi sono lunghi, il vaccino va trovato e poi anche prodotto e distribuito.

I roghi che stanno devastando la California e l’Oregon sono un altro esempio della difficoltà del presidente americano a governare crisi naturali. Anche in questo caso la politicizzazione c’è eccome, la California è la patria dell’antitrumpismo (e l’attuale governatore è l’ex marito della fidanzata di Donald Jr: chissà se pesa questo elemento familiare, chissà se se n’è accorto questo padre distratto che non ha mai apprezzato particolarmente il figlio se non quando gli fa da megafono) e quindi un buon bersaglio per il presidente. 

Però è anche uno Stato che elettoralmente parlando per Trump ha pochissimo fascino: non è conquistabile, tanto vale lasciarlo perdere. Ma brucia, brucia moltissimo, e il presidente non può sfacciatamente far finta di niente come vorrebbe la sua indole, non per sempre almeno. Così Trump ha fatto visita in California, si è fatto spiegare tutto dagli addetti ai lavori, e ha sentenziato: poi passa. Anzi: passa se questi liberal che vi governano la smettono di fare stupidaggini. I roghi non sono legati al cambiamento climatico e il pianeta presto si raffredderà così come il virus scomparirà appena staremo all’aperto (detto da uno che odia tutto ciò che è outdoor, tra l’altro), quel che è caldo diventerà freddo, quel che uccide smetterà di farlo: la teoria di Trump è così, si sistemano le cose se i democratici non le ostacolano. Perché a mettersi in mezzo a questo assestamento naturale possono essere soltanto i liberal, gli antifà, gli anarchici, cioè i bersagli politici privilegiati della campagna elettorale 2020 di Trump.

Questa leggerezza nella gestione delle catastrofi mista al tentativo di incasellare ogni discussione dentro al solito duello ideologico è frutto di un calcolo. La saggista americana Anne Applebaum scrive: «La compassione per i morti che perdono la vita nelle catastrofi naturali non è un combustibile buono per il traffico sui social quanto l’odio per i cittadini che sono dall’altra parte dello spettro politico, e Trump ha bisogno di questo traffico per vincere». Unità, empatia, vicinanza non servono elettoralmente a Trump: quindi non servono e basta.