L’invasione russa dell’Ucraina ha travolto la campagna elettorale francese, consolidando il presidente «di guerra» Emmanuel Macron, che è attorno al 30% dei consensi, e marcando ancora una volta, e in modo più drammatico che in passato, le differenze tra le varie anime della sinistra. Come si sa questo non è un problema soltanto francese: tutte le sinistre occidentali si dividono quando si parla di atlantismo, Nato, Russia. Ma poiché la Francia va al voto – il primo turno è il 10 aprile – ogni candidato è continuamente esposto e interrogato sulle proprie posizioni, e l’ambiguità delle dichiarazioni equidistanti sul conflitto scatenato da Vladimir Putin in Ucraina è molto più visibile.
La prima cosa da notare, e questa non è una conseguenza della guerra, è che la gauche francese si è già presentata divisa alla contesa elettorale ed è il motivo per cui i nomi dei candidati si trovano solo guardando la parte più bassa dei sondaggi. Il primo esponente di sinistra – una sinistra insoumise, radicale, antieuropeista e antiatlantica – nei sondaggi è Jean-Luc Mélenchon, ora all’11-12% dei consensi, appaiato più o meno al candidato di estrema destra Eric Zemmour e più avanti rispetto alla candidata gollista Valérie Pécresse (al secondo posto delle intenzioni di voto c’è Marine Le Pen; il probabile ballottaggio al secondo turno delle presidenziali è uguale a quello del 2017). Dopo Mélenchon, a metà dei suoi consensi, cioè tra il 6-7% c’è Yannick Jadot, il candidato ecologista, su cui molti ripongono da tempo tante speranze perché tante speranze sono risposte sulla transizione ecologica in tutta Europa. Ma la guerra in Ucraina, come si sa, ha cambiato (anche) i connotati della battaglia ambientalista, e questo fa annaspare ancora di più Jadot che comunque già prima non procedeva affatto solido. Nel pulviscolo di mini-candidati che chiudono la classifica dei sondaggi bisogna citare la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, che di ambizioni ne aveva moltissime e che ha tentato prima di unire la sinistra poi di occupare la sinistra, finendo in un pasticcio enorme. Ora è al 2,5% nei sondaggi. La situazione è talmente disperata che da giorni non si fa che parlare della possibilità che l’ex presidente socialista François Hollande, l’ultimo e unico presidente di sinistra di questo secolo, possa buttarsi nella contesa elettorale: si è preparato, dicono i retroscenisti, a fare la parte del salvatore. Ma molti ribattono: salvare che cosa?
Poiché di fatto la gauche francese non esiste più, resta il dibattito ideologico, ancora più rilevante se il primo della compagine scalcagnata è proprio Mélenchon, che lascia sempre intendere di essere molto sottovalutato, come a dire: vi regalerò sorprese. Alle manifestazioni organizzate a sostegno del popolo ucraino ognuno è andato per conto proprio, o meglio Mélenchon è per conto proprio. I suoi sostenitori gridano: «La guerra è una gran scemenza!», cosa condivisibilissima, così come lo sono i cartelli a favore della pace. Ma il leader della France insoumise è, ancora oggi, a favore dell’abolizione della Nato, mentre sui social rimbalzano le sue dichiarazioni filo putiniste del passato. Mélenchon era a favore dell’azione del presidente russo in Siria (quella dei bombardamenti su civili, corridoi umanitari, ospedali e quella che ha inaugurato il modello russo di affamare le città prima di sottometterle). Quando Putin fece l’annessione della Crimea, Mélenchon disse «meglio così». All’inizio dell’invasione russa in Ucraina Mélenchon si è unito al coro di chi condannava l’aggressione, ha fatto parte di chi aveva bisogno di riposizionarsi nel giro di pochi giorni (come Marine Le Pen che ha cestinato tutti i volantini con una sua foto insieme a Putin), ma poi subito ha seguito il proprio istinto. Così ha scelto la strada dell’equidistanza, né con Putin né con la Nato, ma con un’evidente propensione a schierarsi, nel caso, con il primo.
Poiché la materia russa è incandescente ovunque in Europa, ancor più se la guerra prosegue e se lo shock energetico e finanziario diventa oltremodo costoso, Mélenchon si è accomodato sul divano più comodo: quello della pace. Se dici pace sei inattaccabile, chi non è per la pace? Se dici pace puoi evitare di fare distinzioni tra aggressori e aggrediti, puoi anzi iniziare a magnificare le tue doti di negoziatore, aspirando a un accordo consensuale tra le parti, magari organizzato proprio da te, in qualità di presidente. I rilevamenti dicono che la manovra di Mélenchon è riuscita: se dici pace e chiedi chi è il candidato della pace, moltissimi citano il leader filorusso della France insoumise.
Quel candidato della pace filorusso
/ 21.03.2022
di Paola Peduzzi
di Paola Peduzzi