Alle prime luci dell’alba del 5 marzo 1821, nelle acque della Boca del Inferno, uno stretto passaggio a Nord della Bahia de Jobos, a Nord di Porto Rico, la vedetta del brigantino pirata Anne lancia l’allarme: vela in vista! Il comandante Roberto Cofresi sale in coperta. Forte di un’esperienza ormai decennale e di innumerevoli vittoriosi combattimenti, identifica subito la sua prossima preda come nave da carico e ordina all’equipaggio di preparare il ponte per l’arrembaggio. Cofresi non è un sanguinario: come molti dei suoi colleghi preferisce terrorizzare le sue vittime con la fama della ferocia leggendaria dei pirati e un’apparenza che lo fa sembrare un demone uscito dall’inferno (anche se lui personalmente quando è fuori servizio preferisce abiti eleganti all’ultima moda) ed evitare così scontri dal risultato sempre incerto. Non per niente Anne è conosciuta nelle taverne della costa col nome di El Mosquito, La Zanzara. Leggera e veloce, dotata di soli sei cannoni di medio calibro e armata con il maneggevole armo bermudiano (quello, per intenderci, che ha dato il nome al pratico armo da diporto attuale) manovrato da tredici uomini di equipaggio, è concepita per ronzare attorno al bottino tirando due golpes de canon mentre sciorina il sempre efficace Jolly Roger: arrendersi o morire. Poi si sale a bordo con ghigno feroce, qualche minaccia e un paio di schiaffoni e il gioco il più delle volte è fatto. Dovesse andar male, non appena si vedano far cucù dai boccaporti cannoni un po’ troppo lunghi e fitti, si vira di bordo, si alzano i tacchi e ci si fionda dentro una delle innumerevoli baie delle quali è piena la costa sfruttando il basso pescaggio dell’Anne e la sua grande manovrabilità. Semplice, provato ed efficace.
Solo che questa volta colui che è stato l’incubo della marineria commerciale delle Bermude ci casca come un pollo. Quello che Cofresi crede essere un grosso, goffo e grasso mercantile altro non è che lo schooner San Josè y Las Animas: per ironia della sorte il San Josè era già stato una volta arrembato e preso da Cofresi e i suoi per poi essere rilasciato ché troppo complicato da gestire. E dunque la nemesi: dopo il primo scambio di cannonate, visti tre dei suoi cadere sul ponte colpiti da palle di moschetto, Cofresi si dà alla fuga. Fa arenare la Anne sulla spiaggia: lui stesso è ferito e ordina ai suoi di sbandarsi e disperdersi nella foresta per dividere le forze dei loro inseguitori. Il giorno dopo viene intercettato dalla milizia del governatore spagnolo. Si batte ma viene sopraffatto assieme al suo fedele schiavo africano Enrique. Entrambi vengono imprigionati a Guayama dove mano a mano vengono rinchiusi anche tutti gli altri membri dell’equipaggio di Cofresi.
Nelle settimane che seguirono il Governatore de la Torre riuscì a imporre che il processo si tenesse secondo il codice militare e non secondo il codice civile. Nella confusa, complicatissima, rognosa e delicata «Questione della Sovranità delle Bermude», che vedeva in campo potenze internazionali come la Spagna, la Danimarca e i nascenti Stati Uniti (e persino la Colombia), secondo i codice civile il Nostro avrebbe potuto invocare lo status di privateer, ovvero di «pirata» abilitato alla Guerra di Corsa – e dunque Nobile Corsaro e non vile Pirata – che agiva secondo una Patente accordatagli da un legittimo sovrano per «combattere», pur per motivi privati e personali (e, s’intende, previo un accordo per la spartizione del bottino fifty-fifty con chi gli dava la Patente Salvacondotto/Salvapelle) i nemici del Sovrano sottoscritto nel documento di Patente. Speriamo che sia chiaro: in caso di cattura, in sostanza, il nostro Corsaro doveva essere trattato come un prigioniero civile e pertanto non poteva essere giustiziato. Cosa che invece – paradossalmente – poteva permettersi un tribunale militare avendo dimostrato, s’intende, che l’accusato si fosse comportato da macellaio in violazione delle vivaddio cavalleresche regole di guerra.
Resosi conto della mala partita, Cofresi negò di aver mai ucciso chicchessia spiegando nei dettagli le sue tattiche «se non puoi mordere fuggi». Quindi provò a corrompere i suoi carcerieri offrendo quattromila Pezzi da Otto – i favolosi dobloni d’argento spagnoli. Poi però, vista l’inutilità degli sforzi, decise di entrare nella parte e uscire di scena con stile. Era il 29 marzo 1825. Mentre lo legavano alla sedia per essere fucilato, Roberto Cofresi y Ramirez de Arellano, triestino della piccola nobiltà di antica ascendenza mitteleuropea, rifiutò di essere bendato: «Ho ucciso almeno quattrocento persone con le mie mani! Figuratevi se ho paura della morte. Fuoco!».