La festa nazionale è sempre una buona occasione per riflettere sui valori fondanti del proprio paese. Anche quest’anno, concetti come sovranità, indipendenza, neutralità, hanno fatto da sfondo a molti discorsi celebrativi. Da celebrare c’è molto, senza dubbio, la Svizzera se la cava egregiamente, meglio di altri, persino i fossati sorti durante la pandemia si stanno lentamente riempiendo, le accuse rivolte al Consiglio federale di imporre una dittatura sanitaria si sono dissolte dopo che per due volte il Popolo ha votato a favore della legge sul Covid; la guerra in Ucraina e le ripercussioni sull’economia elvetica non hanno (ancora) provocato una recessione. Tuttavia, a esaltare i valori fondanti della patria si corre il rischio di mitizzarli, di renderli assoluti, di isolarli dal contesto reale in una bolla ideologica. In realtà, al di fuori dei discorsi del 1. agosto, concetti come sovranità, neutralità, indipendenza, sono declinati in modo abbastanza pragmatico.
Prendiamo la neutralità. La decisione del Consiglio federale di adottare le sanzioni imposte dall’Unione europea alla Russia per punire l’aggressione della guerra contro l’Ucraina ha riacceso un dibattito assopito da tempo. L’UDC lancerà un’iniziativa popolare per una «neutralità integrale», che impedirebbe anche l’adozione di sanzioni, in contrasto con quella attuale che il Consiglio federale definisce «neutralità differenziata» o «cooperativa»; il ministro degli esteri Ignazio Cassis ha annunciato per questo mese un rapporto, in cui verranno esaminate anche le relazioni con la Nato.
Il dibattito che ne seguirà servirà a distinguere due aspetti fondamentali della neutralità elvetica: il diritto della neutralità e la politica della neutralità; il primo vieta la partecipazione a conflitti armati e l’adesione a un’alleanza militare, la seconda definisce il quadro entro cui il principio può essere applicato, a seconda delle contingenze. Non dimentichiamo infatti che con la partecipazione a Frontex la Svizzera dà già oggi il proprio contributo alla difesa dei confini esterni dell’Unione europea e con la Partnership per la pace intrattiene da anni rapporti con la Nato. Ora è tempo di tematizzare quanta vicinanza alla Nato (chiesta a gran voce dai presidenti di Plr e Centro) sia oggi possibile e desiderata. I sondaggi indicano che la politica del Consiglio federale e la volontà del centro e del centro destra di avvicinarsi alla Nato raccolgono i consensi della maggioranza.
Strettamente connessa al concetto di neutralità c’è la difesa armata. E la guerra in Ucraina mette in discussione anche questo mito che affonda le radici nella Seconda guerra mondiale. Da decenni, a destra c’è la convinzione che la Svizzera debba e sia in grado di difendersi militarmente da sola, a sinistra che l’esercito sia un’istituzione superata, inutile in un continente in pace. Ora, a destra il mito della difesa autarchica resiste, la messa in guardia del capo dell’esercito Thomas Süssli secondo cui la Svizzera resisterebbe un solo mese a un’invasione non lo ha messo in dubbio, bensì spinge una maggioranza dei politici (e della popolazione, non solo a destra) a chiedere più soldi per le forze armate. Nell’area progressista, non pochi politici e intellettuali rivedono individualmente il proprio rapporto con l’esercito e senza troppo clamore ne riconoscono la necessità, alcuni anche l’opportunità di un avvicinamento alla Nato poiché non ritengono plausibile una difesa armata autonoma. Inoltre, un conflitto armato in Svizzera coinvolgerebbe dapprima i paesi vicini, quindi sarebbe una guerra comune, da affrontare in solidarietà con l’Europa.
La neutralità e la difesa armata ci portano dritti verso i concetti di sovranità e indipendenza. Politicamente il tema è sempre attuale, i rapporti con l’Unione europea si misurano da decenni con questo metro. Ma sono concetti che se applicati in modo dogmatico sconfinano nell’isolamento. Dopo la decisione governativa di chiudere i negoziati sull’accordo istituzionale con l’Ue ce ne siamo accorti: nessun nuovo accordo bilaterale (mentre quello sull’energia è da tempo urgente), niente partecipazione elvetica ai programmi scientifici di Horizon Europa, dotati di 94 miliardi di euro.
Inoltre, l’indipendenza politica mal si sposa con la dipendenza economica. Prendiamo il settore dell’energia. Dipendiamo dalle centrali nucleari francesi, da importazioni di gas russo dalla Germania, dal petrolio. Se la metà delle centrali francesi chiude, come è il caso oggi, e persino il governo francese è preoccupato di non avere abbastanza energia il prossimo inverno, se il gas russo non fluisce più, se i prezzi dei prodotti petroliferi vanno alle stelle, l’indipendenza diventa un concetto vacuo.