Quanti sono gli dei

/ 05.09.2022
di Cesare Poppi

Il bosco sacro è avvolto da una penombra carica d’umidità. Sta per piovere. Si suda e i vestiti si appiccicano alla pelle. Disagio. Inciampo in una radice e me la faccio scappare… Jo Anne ride. «Accidenti a te e ai tuoi voti» le dico. Jo Anne è una collega canadese. L’ultima volta che venne da queste parti andò a chiedere a Chilee non so quale favore e adesso è venuta a saldare il suo debito. Chilee è un dio nella forma di un colossale baobab il quale, al contrario dei baobab normali che sorgono isolati nella savana, cresce invece circondato da altri baobab. Il risultato di questa anomalia è spettacolare, inquietante. Grovigli di radici come pitoni paralizzati in lotta. Un accumulo di bottiglie di gin ai piedi del dio. Laggiù, più lontano, un accumulo di ossa degli animali sacrificati – pecore bianche, mi spiega il sacerdote che ci accompagna. Sono sorpreso: sono sempre stato convinto che se c’è un razionale per i sacrifici di sangue consista nel fatto che, oltre a giustificare la violenza «con ordini superiori», il sacrificio fosse una scusa per farsi una bella mangiata in compagnia. Chilee è diverso. Mi viene spiegato che in questo caso siamo in presenza di un malokundi – «tu non mangerai la carne» – perché gli animali sacrificati vengono lasciati a putrefarsi nei pressi del santuario. Non ha senso, mi dico. Ci penso un attimo e trovo subito il modo per gabbare lu santu, come si dice.

La verità è che l’area di giurisdizione del Nostro conta un numero alto di Musulmani. Questi non mangiano la carne degli animali sacrificati – un tabù alimentare come un altro, come li hanno tutti a seconda del clan di appartenenza. Il fatto che sia scritto nel Libro è secondario. La proibizione di mangiare la carne sacrificale fa sì che i servizi del dio siano aperti anche ai musulmani, che infatti frequentano Chilee senza violare la Legge – e vissero tutti felici e contenti. Mentre ci scoliamo – a turno, dall’unico comunitario bicchiere – l’ultimo sorso di una bottiglia di gin torcibudella mi chiedo come la mettano i musulmani – con il gin, intendo. Dettagli, quisquilie irrilevanti… mi sarà spiegato che in quel caso il gin conta come lulii – medicina – e dunque è halal, lecito. E allora ingollo anche l’ultimo giro: meravigliosa Africa, dove una scappatoia si trova sempre, l’escamotage è gemello del compromesso, il fallimento un invito a riprovarci e una lite l’occasione per sedersi e trovare un modo per mettersi d’accordo. Altrimenti in condizioni di cronica deprivazione di tutto eccetto l’indispensabile – anche quello rinegoziabile all’infinito – la vita sarebbe un inferno.

Ottimo business avere la custodia di un santuario. La guardiana di un dio è fonte sicura di entrate. Faccio il calcolo di quanto sia costato a Jo Anne sciogliere il suo debito con Chilee: una pecora, due polli per la divinazione e contro-divinazione, una bottiglia di gin, quattro noci di kola per il custode del santuario, un gallone di benzina… si arriva a un centinaio di euri, più del doppio di quanto la cuoca della casa di riposo per preti dove ho trovato ospitalità a Wa guadagni in un mese. Non mi stupisce allora che oggi, in Ghana, molti dèi – soprattutto nel Sud del Paese più sviluppato – offrano i loro servizi via internet e Facebook. Alcuni accettano già rimesse in denaro con Money Transfer. Mi chiedo cosa succederà quando arriverà Paypal: sarà l’inflazione.

Se i demoni sono legioni, in Ghana gli dei sono legioni più uno: innumerevoli. Nel senso che, se un tempo le afflizioni di un individuo potevano essere risolte da un numero limitato di dèi – quelli che entravano in una mappa cognitiva definita entro i confini geoculturali ristretti delle relazioni di parentela a livello di lignaggio e clan – ora che i network di comunicazione si allargano sempre più, uno non sa più letteralmente a quale santo affidarsi. Con la differenza che mentre i Santi di una chiesa universale hanno imparato da tempo a specializzarsi in questo o quel business per non farsi concorrenza, qua gli dèi, proprio come le venditrici al mercato, vendono tutti la stessa merce. La merce mai soddisfa e allora ci si confonde. Ci si incarta, si gira a vuoto, si marcia sul posto senza arrivare da nessuna parte. Da Caifa a Pilato, senza costrutto: «Io preferisco essere cattolico perché la Chiesa si accontenta di un soldino la Domenica». Così un amico l’altro giorno. Lo capisco. Ma non capisco ancora però perché poi mi ha chiesto – timidamente – se gli davo i soldi per una pecora da sacrificare al santuario del dio coccodrillo a Kulmasa: «Basta solo mezzo gallone… è un bel posto…vedrai, ti piacerà…». Tempo di ritirare fuori il taccuino per le note di ricerca.