Quante storie nei 90 anni del GdP!

/ 07.11.2016
di Ovidio Biffi

Ci sono giorni in cui, anche se il vento non c’è, io avverto la sindrome del «föhn». Chi mi è vicino lo intuisce, se non da toni e comportamenti, dalla comparsa di alcuni libricini che porto in giro per la casa, leggendoli da nevrastenico, a caso. Se vi interessa, i titoli dei libri taumaturgici sono abbastanza emblematici, come La forza del carattere, Buio e Speranze, gli autori sono James Hillman, Paolo Mauri e Paolo Rossi. Non chiedetemi perché, ma dopo un po’ di letture le paturnie si attenuano e poi svaniscono. Di recente ho avuto un «giorno da föhn», con relativo rito librario, all’indomani dei festeggiamenti per i 90 anni del «Giornale del Popolo», e l’ho superato con il solito sistema. Come, esattamente? È storia complessa, provo a raccontarla.

Intensa la festa del quotidiano di Massagno, adeguata, meritata anche. Per il vescovo e la curia, ammirevoli nel portare avanti impegni e sforzi come editori; poi per chi è oggi, o è stato in passato, direttore, amministratore o sostenitore del GdP. Bella anche per i tanti redattori e i dipendenti della tipografia che era retta, prima della cessione a terzi, con passione e zelo dalle suore di Saint Maurice. Erano (oso dire eravamo) tutti abilmente guidati da sempre generosi maestri. Ed è confortante vedere che questo privilegio continua tuttora.

Date queste premesse era inevitabile che la festa assumesse l’atmosfera di una rimpatriata, che si finisse per parlare non solo dell’anniversario del giornale, ma delle storie dei 90 anni del GdP: tutti impegnati a ricomporre le tessere di personali mosaici, a riesumare ricordi con nomi, volti e aneddoti che finalmente riaffioravano dall’oblio. E al piacere della rievocazione seguiva quello di garantire certezze alla memoria futura. Meno scontata invece la tendenza a tracciare paralleli fra i vari percorsi storici. Ad esempio confrontando le fasi di successo e di crisi del giornale cattolico con un analogo andamento che, più o meno nel medesimo lasso di tempo, ha caratterizzato l’evoluzione socio-politica, quindi la storia recente del nostro cantone. Quasi non bastasse (ma forse era inevitabile, data la matrice e la linea editoriale del giornale) ecco insinuarsi anche l’inevitabile confronto fra la perspicacia e il coraggio decisionale di una volta con i tanti interrogativi e le incertezze del mondo di oggi, in particolare quelli che assillano il cattolicesimo per obbligarlo ad assoggettare la pastorale evangelica alla diplomazia politica…

Ecco motivate le paturnie del giorno dopo, il mio rimuginare per cercare le cause, e magari anche le colpe delle differenze fra «noi vecchi» e «loro giovani» nel giudicare il passato e nel guardare al futuro. Dapprima arrivo a ipotizzare che tutto il malessere derivi più che altro dal mio patologico scetticismo, o magari dalla mia difficoltà, o incapacità se volete, di lasciar prevalere l’entusiasmo e la speranza invece di privilegiare e ascoltare i dubbi e le incertezze. Ma gli autori consultati mi salvano e dicono che l’impedimento maggiore va ricercato nel fatto che noi anziani quasi sempre immaginiamo il futuro come un’esatta proiezione del passato e che, di conseguenza quando pensiamo al domani, noi lo proiettiamo immaginando un altro ieri. Mi avvertono anche che, soprattutto in tarda età, si è portati a relegare in secondo piano le verità e si preferisce dare la precedenza a faccende, impressioni, deduzioni più assillanti e solo apparentemente più importanti.

Però non mi convincono del tutto. A darmi ragione sono proprio i fondatori del «Giornale del Popolo»: proiettando oggi la situazione e le contingenze di quel lontano 1926, vale a dire immaginando gli sforzi e il coraggio di un vescovo e di un giovane prete che avviano un giornale in un Ticino già povero e senza prospettive, oltretutto pochi anni dopo una guerra e nell’imminenza di una depressione che avrebbe reso ancora più buio il quadro e ardua l’impresa, ecco che ricaviamo un formidabile insegnamento e un messaggio di speranza tuttora validi per affrontare problemi e futuro. E mi permetto di aggiungere (anche se su questo terreno temo di non avere gli attrezzi giusti) che l’intuito e gli sforzi di quei fondatori, che oggi sono riflessi nella caparbietà di chi difende e diffonde un media cattolico, possono far bene anche a tutta la Chiesa (dal papa sino ai nuovi martiri vittime di guerre e terrorismi religiosi), impegnata ad aprirsi nel segno della solidarietà proprio mentre il mondo politico paradossalmente continua a privilegiare chiusure e isolamenti.

E questo conferma che i 90 anni del «Giornale del Popolo» sono dispensatori di un forte atteggiamento aperturistico, in coraggiosa controtendenza con le indifferenze e i disimpegni che dominano su tanti fronti. Un aspetto che arricchisce la sua quasi centenaria storia.