Quando le notizie si scontrano

/ 27.08.2018
di Luciana Caglio

All’università di Manchester, da un murale sono stati rimossi i versi di Rudyard Kipling, scrittore inglese nato a Bombay nel 1865, Nobel nel 1907, autore di romanzi di successo, fra cui Il libro della giungla, Capitani coraggiosi, Kim. In pagine, oltretutto piacevoli, affrontava il rapporto fra dominatori e indigeni, definendolo il «fardello dell’uomo bianco». Qualcosa che aveva vissuto, in prima persona, in quell’India, ancora colonia fedele dell’impero di «Sua Maestà». Era una visione di stampo ottocentesco, ovviamente distante da quella attuale. E inaccettabile per gli studenti inglesi che, per protestare, non hanno perso tempo in discussioni. Più sbrigativamente, sono ricorsi all’iconoclastia, reazione ormai contagiosa: basta una pennellata o una picconata. Paradossalmente, proprio in ambienti evoluti, i campus universitari americani e inglesi, al dibattito sulle idee si preferiscono le vie di fatto. Così, si abbattono statue, comprese quelle di Colombo e di Jefferson, si strappano lapidi, si sfregiano dipinti, si censurano opere letterarie, non risparmiando neppure Shakespeare.

Dietro a queste bravate c’è, però, un progetto culturale ambizioso quanto assurdo: riscrivere la storia non più come una successione di avvenimenti e ideologie bensì alla luce dei diritti umani, valutando le epoche da un profilo morale. Insomma, con una bella faccia tosta, da questo tribunale si giudicano personaggi e situazioni, che risalgono a secoli o millenni fa, applicando i principi del politically correct, nato agli inizi dei nostri anni 30, per rispondere alle esigenze del XX secolo. Quando era il momento di mobilitarsi a favore dei cittadini di colore e delle donne, ancora categorie discriminate. Una giusta causa, di cui il femminismo si è giovato nei decenni successivi, lungo un cammino che, dai diritti fondamentali, voto, parità salariale, si è poi spostato sul piano del costume, dei rapporti di coppia e di famiglia e sulla tutela anche fisica della donna, in un contesto sociale e professionale sempre più diversificato e dinamico. Dove, con l’indipendenza, cresceva il pericolo di essere vittime di abusi e soprusi sessuali.

Proprio qui si apre una persistente zona d’ombra. Vi fece luce, il 15 ottobre 2017, il «New York Times» che accusò il produttore hollywoodiano Harvey Weinstein, di aver abusato, in forma ricattatoria, di otto donne. Un numero che doveva, poi, moltiplicarsi incessantemente, dando avvio al movimento «#Me Too» che, più si allargava, più si prestava a fraintendimenti. Le cronache continuano a riportare casi di molestie persino sospette: da parte di mancate dive in cerca di un rilancio o, addirittura, di mitomani che le violenze se le inventano di sana pianta. In questo clima giustizialista, nasce il movimento «Men are trash»: i maschi gentaglia, con cui si riesuma un fondamentalismo femminista, dagli effetti controproducenti, non da ultimo ridicoli. Ricompare la figura caricaturale del maschio nemico, sopraffattore, persino se ti apre la portiera dell’auto o ti offre un caffè. Ora, qui sta il guaio: questi aspetti, marginali di uno zelo femminista ossessivo, finiscono per intaccare la credibilità di una causa, che rimane sempre attuale nella nostra quotidianità.

È la cronaca a confermarlo. La settimana scorsa, a Ginevra, cinque ragazze, all’uscita da un ritrovo notturno, venivano aggredite, proprio perché donne sole. L’episodio ha ridato fuoco alla miccia di una protesta che, sotto l’egida di Gioventù socialista, ha affollato le piazze di molte città svizzere rilanciando il tema di una particolare categoria di reati: quelli, appunto, che appartengono a una zona d’ombra. «Das grosse Schweigen», titolava la «NZZ» un servizio dedicato al fenomeno, ormai di portata nazionale, in un paese sempre più multietnico, di cui le statistiche riescono a dare un quadro approssimativo. Stando alle cifre, Lugano ha registrato, nel 2017, 6,6 casi di molestie o violenze, per 1000 abitanti, Bellinzona 4,3, mentre Basilea detiene il primato con il 13,7. Difficile dire se siano pochi o tanti. Di sicuro, non rivelano una realtà spesso sommersa. Si tratta, comunque, di una notizia di segno opposto, rispetto alle precedenti. Riscatta il femminismo, per certi versi démodé. Ma, in pratica, insostituibile, al servizio di quella che rimane una giusta causa.