Cambiano, con i tempi, le denominazioni che definiscono un vizio, o arte, di sempre: quello di Pinocchio, cioè la bugia. Che, con un termine più solenne, si chiama anche menzogna, e popolarmente, balla, o patacca, e, negli ultimi anni, bufala. Più recentemente, nel linguaggio giornalistico, che si è arreso all’inglese, lingua d’obbligo nei confronti dei fenomeni globali, si è imposto fake news. Secondo l’Oxford Dictionary, bibbia in materia, proprio fake news, notizie false, e post truth, oltre la verità, sono state elette parole dell’anno 2016. Avrebbero, infatti, espresso, con pertinenza, il clima politico, culturale e quotidiano del momento: denunciando la confusione provocata dall’eccesso di un’informazione allo sbando. Sui cittadini-utenti si riversa, loro malgrado, una valanga di messaggi ambigui, accattivanti, ma non attendibili. Informazione e informatica non coincidono più, e non è un gioco di parole. Succede, una volta ancora, che una conquista tecnologica rischia di diventare un’opportunità imbarazzante. Le tante notizie, veicolate da giornali, televisioni, internet, social, ecc… anziché mettere in relazione con la realtà dei fatti e dei pensieri, ci allontanano dalla conoscenza. Le fake news stanno, appunto, alimentando, una forma attualissima di ignoranza camuffata. Tutti sanno di tutto.
Le conseguenze si fanno sentire. Da Bruxelles è partito, nei giorni scorsi, un avvertimento all’indirizzo di Facebook, Google, Twitter, cioè i maggiori responsabili dei canali che diffondono a quasi due miliardi di utenti, nel mondo intero, messaggi d’ogni genere e qualità, anche ingannevoli e nocivi. Ne stanno facendo le spese, appunto, gli europarlamentari, a cominciare da Angela Merkel, vittima di notizie false diffuse in rete. Giustamente, ci mancherebbe, alla vigilia di importanti elezioni nazionali, in Germania e in Francia, i candidati si difendono.
Ma, gli effetti delle fake news, proprio perché diffusi globalmente ormai da decenni, hanno messo radici difficili da estirpare, soprattutto nel terreno, per sua natura vulnerabile, di un’opinione pubblica allargata. Si tratta di una corrente di rivelazioni, cosiddette controcorrente, ispirate all’altra verità, cioè in contrasto con la versione ufficiale, e ci toccano da vicino. Concernono avvenimenti politici, crisi economiche e, soprattutto, traguardi scientifici e medici.
Impossibile elencare tutte le alternative che, da decenni, accompagnano eventi storici, di portata mondiale, in nome del «diritto al dubbio». Dallo sbarco sulla Luna alle Torri gemelle, dall’Aids ai vaccini, dall’ assassinio di Kennedy all’Isis, dalle scie chimiche agli Ogm, ogni fatto di cronaca, ogni novità trova subito una spiegazione, frutto di interpretazioni rocambolesche, in grado di soddisfare la fantasia, il piacere di sentirsi un bastian contrario, addirittura un moralizzatore, capace di opporsi ai poteri occulti di multinazionali e minacce affini. Ora, ed è quel sorprende, queste teorie aberranti, che umiliano il raziocinio e il buon senso, trovano ascolto e seguito e, guarda caso, proprio nei paesi più evoluti e benestanti. Dove, per dirla con il sociologo francese Gérald Bronner, è nata e cresce «La democrazia dei creduloni» (così s’intitola un suo recente saggio, pubblicato da Aracne). In queste pagine si analizza un fenomeno paradossale: la conoscenza viene sostituita dalla credenza.
È il caso di parlare di «fideismo», come l’ha definito Franco Cavalli, ospite, alcune settimane fa, di una memorabile puntata di «Patti chiari», in cui si affrontava il tema del rapporto alimentazione-cancro. Ma, il nostro oncologo si è trovato, per così dire, alle strette, in un incontro dove, la voce del rigore scientifico era sopraffatta da incoerenti esternazioni pseudoscientifiche. In parole povere, si dava spazio e autorevolezza a chi si cura un tumore con l’insalata.
Con il pretesto d’informare ad ampio raggio, senza pregiudizi di sorta, si finisce per favorire, anche attraverso canali importanti quali la RSI, l’avanzata delle notizie infondate. C’è però anche da noi chi ci mette in guardia. Vale la pena di consultare «Il disinformatico», il sito in cui Paolo Attivissimo s’impegna per orientare il pubblico, sommerso da «appelli all’emotività». E, lo fa anche nelle nostre scuole, fra i giovanissimi, categoria risaputamente più esposta alla seduzione informatica.