Quando la politica non è più così importante

/ 04.07.2022
di Aldo Cazzullo

Le recenti elezioni amministrative in Italia hanno dimostrato che le vecchie carte geografiche della politica non valgono più. Se c’è una città di destra, quella è Verona; dalla curva dell’Hellas (la maggior squadra di calcio del Veneto) alla Curia (tranne qualche eccezione, tra cui non c’è l’attuale vescovo che ha invitato a non votare per chi sostiene la teoria gender). Se c’è una città di sinistra, è Genova. Repubblicana quando l’Italia era monarchica, antifascista quando l’Italia era fascista, comunista quando l’Italia era democristiana. La città dove la gente apre i portoni ai manifestanti in fuga dalla polizia, nell’estate del 1960 come nel 2001. Ebbene, Verona ha scelto un sindaco di sinistra. Ma l’enfasi per la vittoria di Damiano Tommasi non deve far dimenticare quella di Marco Bucci al primo turno a Genova, città che ha più del doppio degli abitanti di Verona. In realtà quando parliamo di città di sinistra e di destra parliamo del passato. Di una tradizione che non esiste più o comunque rappresenta un retaggio, uno sfondo su cui si muove il presente. Non solo sono finite le ideologie, ma pure le appartenenze. Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia, rielegge il sindaco di centrodestra nonostante la débâcle generale ai ballottaggi e le palesi difficoltà della Lega al nord. A Pistoia, già città rossa, vince al primo turno il candidato di Fratelli d’Italia. Cuneo, già molto democristiana e poi molto leghista, elegge una sindaca di centrosinistra.

Le cause sono tante. Quando si vota per i sindaci si sceglie la persona, non il partito. Se si vota per le politiche le tradizioni contano di più o, meglio, ci si divide secondo le linee emerse in questi ultimi anni: centri contro periferie, città contro campagna. Per cui al Parioli, quartiere romano considerato nero, vince il Pd e nelle borgate un tempo rosse prevale (anche se non sempre) la destra. Non è un fenomeno unicamente italiano. La Colombia ha eletto un presidente di sinistra per la prima volta nella storia, superando sia il rifiuto del passato guerrigliero, sia la paura del contagio del vicino Venezuela. La Spagna sta discutendo di quel che è accaduto in Andalusia. Il bastione socialista, la comunità che aveva resistito al franchismo, la terra di Felipe González, alle elezioni amministrative ha attribuito al partito popolare (fondato dal braccio destro di Franco, Manuel Fraga Iribarne) il doppio dei seggi del partito socialista (Psoe).

Le spiegazioni sono molte. La volatilità del voto. L’influenza dei social. La fluidità delle opinioni. Gli sbalzi della partecipazione. Inoltre la storia recente dimostra che negli ultimi giorni prima del voto si creano correnti sotterranee che sospingono l’onda del vincitore, ampliano i margini, a volte rovesciano le previsioni (Brexit, Trump). Non c’è da lamentarsi, anzi. È positivo che non esistano posti e collegi sicuri, che le città siano contendibili. Significa che la democrazia non è bloccata, e quando l’elezione è diretta i partiti e le coalizioni devono mettere in campo personaggi credibili, mentre quando si tratta di comporre liste bloccate tendono a prediligere fedeltà vere o presunte. La labilità delle appartenenze fa sì, ad esempio, che i Cinque Stelle possano passare dall’alleanza con Matteo Salvini a quella con il Pd e Laura Boldrini nel giro di una settimana. Eppure, nell’infinita vertigine delle possibilità, c’è anche questo: la politica non è più così importante. Nessuno pensa più di affidarle la vita. Pochi credono che la politica possa davvero cambiare le cose. Bezos ha più potere di Obama, Zuckerberg di Trump, Musk di Biden.

Qualcuno ritiene che votare sia inutile, tanto la propria opinione la si esprime sui social. Della politica però avremo bisogno, soprattutto in una fase così difficile. La corsa dei prezzi, il rialzo dei tassi, la perdita del potere d’acquisto sarà il tema su cui si confronteranno i partiti (non solo in Italia). Stare all’opposizione in questa fase è un vantaggio. E l’unico grande partito d’opposizione – nella vicina penisola – è quello di Giorgia Meloni. I risultati delle amministrative non devono trarre in inganno. Con questa legge elettorale, che costringe i partiti a formare coalizioni, il centrodestra avrà la maggioranza relativa e forse la maggioranza assoluta nel prossimo Parlamento. È vero che il centrodestra ha già dimostrato di potersi dividere e andare in ordine sparso, ma un tentativo di formare un governo lo farà. La vera alternativa sarebbe trovare prima del voto una legge elettorale proporzionale. Conviene di sicuro a quelli che con la legge attuale perderebbero: 5 Stelle e centristi, ma anche il Pd.