Quando la modestia diventa un lusso

/ 23.07.2018
di Luciana Caglio

Dietro la Casa Bianca, Michelle Obama curava un orto biologico che, lì dov’era, assumeva, per forza di cose, un significato politico. Agli americani, per definizione consumatori di hot dog e surgelati, simboli di cibo spazzatura, proponeva una riconversione alimentare, a base di prodotti genuini: come, appunto, frutta e verdure coltivati il più possibile vicino a casa. Un obiettivo non facile, per gli abitanti delle metropoli, dove tuttavia fu bene accolto, in particolare negli ambienti e negli Stati più evoluti degli USA, New York, Washington D.C, California. Proprio qui, l’alimentazione «organic» attecchì e creò una moda, sempre in auge. Oggi, appartiene alle abitudini che contrassegnano la quotidianità di un ceto sociale che sta facendo notizia. Anche grazie a un libro che l’«Economist» ha giudicato, nel suo genere, il migliore del 2017: s’intitola, nella fedele traduzione italiana, pubblicata dall’editore Franco Angeli, Una somma di piccole cose: la teoria della classe aspirazionale. L’autrice, Elizabeth Currid-Halkett, vi spiega le origini storiche e le motivazioni morali che stanno dietro a uno stile di vita virtuoso, a prima vista.

Gli «aspirazionali», lo dice il neologismo, aspirano a migliorarsi, con comportamenti diversi, persino opposti, rispetto a quelli correnti. Voltando le spalle al consumismo, considerato il padre di tutti i vizi, questi cittadini, intendono ribaltare la scala dei valori che determinano lo «status», cioè il prestigio sociale, affidato, finora, a beni da esibire. La ricchezza non solo da accumulare, ma da mostrare, come aveva osservato criticamente, più di un secolo fa, il sociologo americano-norvegese Thorstein Veblen.

Ora, nell’ultimo dopoguerra, con lo sviluppo industriale e tecnologico proprio quei beni che, un tempo, indicavano inequivocabilmente l’appartenenza a un ceto, dovevano perdere la loro funzione rappresentativa. Stiamo parlando di auto, elettrodomestici, televisori, cellulari, attrezzi sportivi, e via enumerando prodotti, resi accessibili praticamente a tutti. Da qui, l’immagine di una società livellata, dove ci si nutre, ci si veste, ci si sposta allo stesso modo. E, dove, a parte l’isola minuscola degli ultraricchi, che si concedono Ferrari, jet privati, yacht, nella realtà normale diventa difficile distinguersi dalla massa. Ciò che sta mettendo alla prova, appunto, gli «aspirazionali», decisi a proporre un modello di comportamenti controcorrente, a costo di fatiche e rinunce volontarie. Si tratta di piccoli gesti che si riallacciano alla tradizione, come allattare il più a lungo possibile, recarsi ai mercatini che vendono ortaggi, coltivati da contadini rispettosi dell’ambiente, dare la preferenza a prodotti di cui si conosce l’origine. L’impegno si sposta, poi, sul piano dell’educazione dei bambini, da affidare a scuole raccomandabili, per lo più private, su quello della salute da difendere con diete, ginnastiche, abbinate a sedute di meditazione. E, così, si sfocia nell’ambito spirituale vagamente orientale, che non è certo una novità.

Tutte scelte, di per sé, difendibili, all’insegna, in teoria, di una giusta causa, di cui però, gli «aspirazionali» si servono per costruire l’immagine di una modestia che smentisce se stessa. Viene, infatti, esibita per dimostrare una diversità, insomma il marchio di un ceto elitario. Del resto, come rileva Elizabeth Currid-Halkett, si propone un cambiamento di vita che fa capo a una diversa concezione del tempo. Per procurarsi quei cibi genuini, per coltivare quegli orticelli, per prolungare l’allattamento, per lavare a mano le stoviglie, per seguire da vicino gli studi dei figli, ci vuole tempo. Una materia prima che, quella sì, rappresenta un privilegio sociale persistente. Come conciliare il lavoro in ufficio o in fabbrica o in un’aula scolastica con la ricerca dei cibi più genuini, fra le bancarelle dei mercati?

Tuttavia, a proposito di tempo e di orari lavorativi, si sta assistendo a un evidente cambiamento di mentalità. Da parte femminile, ma anche maschile, si accentua la richiesta di più tempo libero, e quindi meno guadagno. «Il tempo è di nuovo denaro» s’intitolava, sul «Corriere della Sera», un commento al fenomeno. Una scelta tentante, se non comportasse un rischio: spesso, il tempo libero costa.