Il Torinese che fa la spesa. Per il Torinese fare la spesa è un’arte che s’impara dopo un lungo esercizio e non si delega a nessuno, tanto meno alla colf. La percentuale di clientela maschile cresce in proporzione al livello di lusso del negozio. Il ghiottone in giacca cravatta e ventiquattrore fa il suo ingresso nella Premiata Gastronomia, saluta famigliarmente padrone e commessi e nel locale si diffonde un’aura di festa, di beato abbandono al piacere di comprare squisitezze, lontani le mille miglia dalle spietate leggi dell’austerità. Questo sì che è un cliente!
Gran signore, non domanda mai il prezzo delle merci, se ordina un etto di insalata russa o capricciosa, padrone e commessi sanno che possono scaricarne sul piatto della bilancia mezzo chilo abbondante: «Ce n’è un tantino di più, che faccio, lascio?» «Ma certo!» Il titolare della Premiata Gastronomia dispone di due sistemi per spingere un prodotto presso la clientela maschile.
Il primo consiste nella collaudata tecnica dell’assaggio: «Dottore, lei che se n’intende, senta questo San Daniele e mi dica se non è una meraviglia». Il forchettone che inalbera una bella fetta di prosciutto si protende al di là del bancone e il dottore, sotto lo sguardo invidioso della clientela ordinaria, afferra con due dita l’offerta e, cercando di non perdere l’aplomb, la stiva in bocca e inizia il processo di masticazione. Il titolare, pugni sui fianchi, spia le reazioni: «Eh, che ne dice? Non è fantastico?». «Beh, sì, effettivamente...» detto a bocca ancora mezza piena. «Gliene taglio un paio di etti prima che finisca, così lo assaggiano anche in famiglia?». Così il dottore, al quale la moglie aveva detto, uscendo: «Mi raccomando, se passi in gastronomia, compra quello che vuoi ma non il prosciutto perché ne abbiamo ancora il frigo mezzo pieno», tornerà a casa con un altro mezzo chilo di San Daniele.
L’altro sistema per spingere all’acquisto la clientela maschile consiste nell’andare a prendere la merce da proporre nel retrobottega: «Voglio farle vedere qualcosa di veramente unico, roba da medaglia d’oro al Salone del Gusto. La tengo di là perché ce n’è poca e voglio riservarla alla clientela di riguardo, a quelli che sono in grado di apprezzarla». Funziona sempre. Il cliente uomo esce dalla Premiata Gastronomia reggendo col mignolo i suoi pacchettini legati con lo spago rosso.
La donna invece si fa portare la spesa a casa. Per l’uomo tutte le ore sono buone per fare acquisti, per la donna mai prima delle undici e mai di pomeriggio, l’ora ideale essendo tra mezzogiorno e la mezza, quando sembra che si siano date convegno tutte quante; lì si ritrovano antiche compagne di scuola, si rievocano i vecchi tempi, il ballo delle debuttanti al circolo ufficiali nel ’69, mentre il commesso paziente attende le ordinazioni. L’uomo predilige i piatti elaborati, composti da più strati sovrapposti, dove c’è di tutto, dalle ostriche al cinghiale, comprese uova di quaglia e kiwi.
La donna compra le verdure bollite, le palline di spinaci cotti, le cipolle al forno; l’uomo non capisce che gusto ci sia ad andare in gastronomia per comprare zucchine, finocchi o carote bollite perché ignorano quanto tempo porta via il lavoro di pulitura delle verdure. È fondamentale per l’uomo e la donna torinesi che vanno a fare la spesa, sentirsi trattati come amici, confidenti e potersi vantare di ricevere un trattamento privilegiato.
C’è in città una pasticceria rinomata per la bontà delle piccolissime e per la ruvida accoglienza della padrona. Ebbene, tutti coloro che vanno in quel locale a rifornirsi di dolci si vantano: «Però con me la padrona è gentile». Per ogni tipologia di prodotto di alta gastronomia, a Torino ci sono almeno due empori che vantano l’eccellenza, il numero minimo perché si inneschino interminabili e bizantine discussioni sulla supremazia dell’uno o dell’altro.
Ci sono poi i negozi di cibi alternativi, i cosiddetti macrobiotici. Frequentati da donne che indossano lunghe casacche sformate, i capelli legati a coda di cavallo, con i commessi che calzano sandali da frate, questi empori sono immersi in un’atmosfera rarefatta, da acquario. Tutti si muovono al rallentatore e parlano sottovoce. La parola magica è «biologico», meglio ancora «biodinamico». Ogni acquisto è preceduto da un conciliabolo fra la cliente e il commesso sullo stato di avanzamento della signora nella pratica della dottrina bio per godere di tutte le infinite virtù della lenticchia decorticata.
Nella mia personale classifica vengono per primi i macellai. Ricordo ancora quello della mia infanzia. A novembre partecipava alle aste per aggiudicarsi gli animali migliori. Mi fermavo incantato davanti alla sua vetrina, dove trionfava la testa di un bue con un foro in mezzo alla fronte e in testa una corona di alloro. L’insegnante di italiano parlava dei «poeti laureati» e io li immaginavo con la corona in testa e un buco in mezzo alla fronte, la giusta punizione per aver scritto opere che eravamo costretti a studiare.