Quando e dove i libri diventano nemici

/ 24.04.2017
di Luciana Caglio

È stato, senza dubbio, uno dei roghi più simbolici e premonitori della storia moderna: il 19 maggio 1933, a Berlino, i nazisti bruciarono, sulle piazze, centinaia di volumi, ritenuti veicoli di idee sovversive e immorali, e quindi una minaccia per l’integrità della madre patria germanica. Vi figuravano opere di scrittori illustri, fra cui Heinrich Mann, il figlio di Thomas Mann, Heinrich Maria Remarque, autore di un bestseller dell’epoca, Niente di nuovo sul fronte occidentale, poi emigrato ad Ascona, e persino la leggendaria Helen Keller, sordocieca, impegnata sul fronte dei diritti umani. Tuttavia, non si può parlare di una primizia. La svastica, se aveva tragicamente attualizzato l’evento, non rappresentò un marchio esclusivo. Sotto altre etichette, persino quella del Vaticano, con l’Indice dei libri proibiti, (introdotto da Papa Paolo IV e abolito dalla Congregazione per la dottrina della fede, nel giugno 1966), questa forma di censura ha accompagnato le sorti della carta stampata, sia quella dei giornali sia dei libri, coinvolgendo la letteratura che conta, e per questo più temibile. Come, appunto, testimoniano le reazioni di chi detiene il potere, e tanto più se assoluto.

«Certi libri sono più pericolosi delle bombe» dichiarava, recentemente, il presidente turco Erdogan, per giustificare l’arresto di scrittori, accusati di minare l’ordine pubblico e favorire il terrorismo. Sta di fatto che, sotto mentite spoglie, con il pretesto di tutelare le identità tradizionali, insidiate dall’occidentalizzazione, nel mirino di questi tribunali finiscono, evidentemente, scrittori indipendenti, che rivendicano la libertà d’espressione e la ricerca di linguaggi innovativi. Gli esempi, in proposito, ormai si sprecano. Ecco il caso di Hong Kong, dove case editrici e librerie, accusate di pubblicare e vendere libri critici nei confronti di Pechino, hanno dovuto chiudere. Anche la Cina, si dimostra commercialmente aperta e culturalmente chiusa: il Nobel per la pace Liu Xiaobo è agli arresti dal 2009, mentre si alzano barriere per limitare le importazioni di una merce subdola quale, appunto, le pagine stampate. Cominciando da quelle per l’infanzia: la popolarità di Pippi Calzelunghe e dell’Orso Pooh, modelli stranieri, allarma gli educatori di regime. Come avviene nella più democratica India, dove i Versi satanici di Salman Rushdie rimangono sempre vietati, mentre cresce la diffidenza verso autori stranieri, incapaci «per motivi religiosi» di capire il Paese.

E di questo diffuso clima di nazionalismo, tipo «prima i nostri» a livello mondiale, fanno le spese i libri, messi al bando per motivi a volte pretestuosi, persino ridicoli. E non soltanto sotto un regime autoritario o dittatoriale. Anche nelle democrazie non mancano esempi di divieti grotteschi, dovuti, però, non tanto a interventi governativi quanto alla suscettibilità e al moralismo di singoli cittadini. Negli USA, furono associazioni di genitori a chiedere l’eliminazione di Harry Potter dalle biblioteche scolastiche, perché «accusato di occultismo». A sua volta, è finito sotto processo un classico quale La capanna dello zio Tom: conteneva l’impronunciabile parola «nigger» e, sempre in America, Il diario di Anna Frank fu giudicato «scioccante» perché l’autrice vi «descriveva il suo corpo».

Con ciò, non tutti i libri meritano l’assoluzione incondizionata. E qui si apre un discorso delicato, che vede protagonista Mein Kampf, proibito in Germania fino allo scorso anno, e ora liberamente in vendita, e a quanto pare con successo. In ogni caso non figurerà fra i 100mila volumi «proibiti», con cui l’artista argentina, Marta Minujin, costruirà un nuovo Partenone, che sarà al centro della prossima edizione di «Documenta», a Kassel, a partire dal 10 giugno. Si tratta di un singolare edificio che sfrutta un materiale, in apparenza fragile, in realtà indistruttibile: le opere di autori, illustri e sconosciuti, che furono, e continuano a essere, le vittime dell’oscurantismo politico e culturale. Sono stati raccolti, catalogati e, ovviamente, protetti con un involucro di plastica, dagli studenti dell’università di Kassel, e destinati a un doppio obiettivo: da un lato, non dimenticare il passato ma, dall’altro, preoccuparsi del presente. La carta stampata è più che mai in pericolo.