Come si dice? La prima impressione è quella che conta. Vale certamente nel caso di questo libro che mi ha subito conquistata e voglio condividere con voi perché in questi tempi complessi capire certe dinamiche diventa sempre più arduo se non abbiamo con noi una cassetta degli attrezzi ben equipaggiata. In verità, il saggio di Aurélie Jean è molto più di un semplice strumento da aggiungere in cassetta, è una sorta di bussola che aiuta ad orientarci. Se ad intrigarmi sin da subito sono stati il titolo Nel paese degli algoritmi (Neri Pozza) e la copertina blu con questi codici calati dall’alto che alle prime sembrano dei piccoli e luminosi Swarovski, a colpirmi al cuore sono stati la dedica «Ai miei nonni, Albert e Hélène Jean» e la citazione di Jack Lemmon «Quando arrivi in cima, ricordati sempre di rimandare giù l’ascensore».
Ironia unita ad un racconto emotivo personale, un binomio che amo. Com’è quell’altra cosa che si dice sempre? Un libro piace quando in esso ti riconosci. A parte il fatto che la logica e la matematica sono sempre state mille miglia lontano da me (ma come dimostra questa lettura non mi arrendo!) Aurélie Jean ed io abbiamo alcune cose in comune. La prima, la più importante, il ricordo dei nonni, il loro ruolo formativo nella nostra vita, l’impronta indelebile e forte che ci hanno lasciato e ci accompagnerà per sempre. Non scorderò mai quei pomeriggi con mio nonno nel suo studio in mansarda in cui mi chiedeva delle mie passioni, dei miei sogni, di cosa avrei voluto fare da grande. Di tante persone che ho incontrato nella mia vita nessuna mi ha mai ascoltato come lui, in modo attento e paziente, interessato davvero a capire il mio mondo, così lontano dal suo. I nonni hanno una saggezza e una luce particolare dettati dall’esperienza della vita che li rende agli occhi di noi giovani dei fari nella nebbia dell’esistenza.
Aurélie Jean è dottoressa di ricerca in scienza dei materiali e meccanica numerica, fondatrice e direttrice di In Silico Veritas, azienda specializzata in algoritmica e modellazione numerica. Nominata da Forbes nel 2019 tra le quaranta donne più influenti al mondo, da più di dieci anni si occupa di modellizzazione matematica e simulazione numerica applicate a diversi ambiti di ricerca, dalla medicina all’ingegneria, dall’economia alla finanza. Vive tra New York e la Francia, dove divide il suo tempo tra la ricerca, l’insegnamento e le collaborazioni editoriali. Se è arrivata sin qui è anche grazie ai nonni: «Fin dall’infanzia, mio nonno mi raccontava delle storie sul funzionamento del mondo che mi circondava. La dinamo della bici, il colore blu del cielo, la terra che ruota intorno al sole, la costruzione ingegnosa delle cattedrali e delle piramidi: con il nonno, tutto era cibo per la mente!». A sette anni mentre Aurélie e i nonni fanno colazione in cucina (chi non ricorda la cucina della nonna?), lei con la cioccolata calda, dalla radio parlano del MIT – Massachussetts Institute of Technology: «Il giornalista raccontava che i ricercatori del MIT stavano conducendo uno studio matematico per capire se per bagnarsi meno possibile sotto la pioggia fosse meglio camminare o correre. Alla fine della trasmissione, vedendomi attenta, mio nonno si voltò verso di me e mi fece un grande sorriso. Mi accarezzò la testa e disse: “Vedi, la matematica serve a tutto!”. Mia nonna, anche lei sorridente, aggiunse che è sempre meglio infilarsi in borsa un ombrello. All’epoca pensai che quei ricercatori erano ben fortunati a risolvere problemi così divertenti! Può sembrare ingenuo, ma non avevo mai saputo cosa rispondere alla domanda: “Che cosa vuoi fare da grande?” Adesso lo sapevo: volevo diventare ricercatrice!».
Fatte le presentazioni, definita la cornice entro la quale ci muoviamo e, soprattutto, delineato lo spirito del racconto di Aurélie Jean, arriviamo al nocciolo della questione: gli algoritmi. «L’algoritmo è un insieme di regole operative la cui applicazione permette di risolvere un problema enunciato per mezzo di un numero finito di operazioni» ci dice la ricercatrice sottolineando che non si deve pensare ad un algoritmo soltanto in termini digitali. Esempio: come individuare in una bancarella del mercato il melone più grosso? Bastano l’occhio umano e un metodo di selezione intelligente. «Avete il “vostro” metodo e lo applicate ogni settimana al mercato? È un algoritmo». Semplice no? Se siete curiosi e volete saperne di più, vi aspetto qui tra due settimane.