C’è qualcosa di irrazionale, in un Paese come l’Italia che veleggia verso i tremila miliardi di euro di debito pubblico e si priva di un uomo come Mario Draghi. Nello stesso tempo, quello che è accaduto mercoledì 20 luglio in Senato è perfettamente logico. Il populismo, di destra – Salvini – e di sinistra o presunta tale – i 5 Stelle –, poteva restare imbrigliato nella logica liberale ed europeista in tempo di crisi e in circostanze eccezionali. Ma già nel gennaio scorso, ignorando la disponibilità di Draghi a proseguire per sette anni al Quirinale il suo ruolo di garante dell’ancoraggio europeo e atlantico dell’Italia, i populisti avevano di fatto chiuso l’esperienza della solidarietà nazionale. Si è pensato che la guerra in Ucraina, con la crisi energetica e l’impennata dei prezzi, avrebbe prorogato l’emergenza, quindi il governo. Passati i primi mesi, è accaduto il contrario.
È proprio la linea della fermezza verso Putin ad aver mandato in frantumi la maggioranza; a meno che qualcuno non creda seriamente che il governo sia caduto su tassisti e bagnini.
Ma ora si apre un’altra pagina. E sarà difficile fare come se la guerra non ci fosse, come se l’emergenza economica non esistesse, come se il governo Draghi non ci fosse mai stato. Anzi, prima di dimettersi Draghi ha posto alcuni punti con cui chiunque intenda governare il Paese dovrà confrontarsi.
L’Italia è sempre più indebitata. Fronteggia una drammatica crisi energetica, priva com’è di fonti nucleari e naturali, in difficoltà financo a far funzionare i rigassificatori necessari a usare quelle che importa. Si è impegnata con l’Europa a una serie di riforme liberali, in cambio di decine di miliardi a fondo perduto. Ha un ruolo-chiave nella costruzione europea e nel confronto con la Russia di Putin.
Cosa pensano di questi temi i leader che si candidano alla successione di Draghi?
Si preparano a promettere tutto a tutti, facendo esplodere il debito pubblico? Hanno un piano per evitare il razionamento energetico nel prossimo inverno, con il rischio di fermare la produzione industriale? Porteranno avanti l’agenda delle riforme, o si arrenderanno alle categorie che gridano di più? Soprattutto: sono per rafforzare l’Europa, d’intesa con Macron, Scholz, von der Leyen? O sono per indebolirla, d’intesa con Orban? Infine: sono contro Putin? O sono con Putin? Non sarebbe serio sottrarsi, in campagna elettorale, a queste risposte.
I partiti che si presenteranno alle elezioni di inizio autunno non saranno gli stessi che si conoscono ora. Al centro nascerà una forza per federare coloro che sono usciti dai Cinque Stelle, da Forza Italia, dallo stesso Pd. A destra è probabile che Berlusconi e Salvini tenteranno di unirsi, più dopo il voto che non prima, creando un gruppo parlamentare comune nella speranza di non consegnare a Giorgia Meloni le chiavi della coalizione favorita da tutti i sondaggi.
Sarà interessante vedere se il Pd tenterà di far propria l’agenda Draghi senza Draghi, o cercherà di recuperare il rapporto con Conte. Sarà ancora più interessante capire quanto resterà nel centrodestra dei valori e delle scelte del governo di solidarietà nazionale, e quanto sarà concesso alle ragioni del populismo. Non perché il centrodestra debba snaturarsi, ma perché deve decidere non solo tra libertà e protezionismo, ma anche tra Bruxelles, Parigi, Berlino da una parte e Budapest e Mosca dall’altra.
Gli italiani sono consapevoli di avere di fronte un periodo difficile: la pandemia che sembra non finire mai, il rialzo dei prezzi e dei tassi dei mutui, il crollo del potere d’acquisto. Hanno diritto a essere presi sul serio, e più ancora a non essere presi in giro.
Quanto a Draghi, da trent’anni in Italia si parla di Seconda Repubblica, ma la Costituzione non è cambiata: è sempre la stessa in cui il segretario della Dc contava molto più del presidente del Consiglio. L’Italia resta la Repubblica dei partiti. Prodi e Monti avranno commesso molti errori; ma se entrambi hanno sentito l’esigenza di farsi un partito, è perché si sono resi conto che – a prescindere dalle tue capacità e dai tuoi successi – senza un partito alle spalle alla lunga non puoi fare politica. Draghi non si impegnerà in campagna elettorale. Pensa semmai a un posto in Europa. Chiudo con una previsione, che non è ovviamente un auspicio. La destra vincerà le elezioni. Ma se governerà in chiave sovranista e nazionalista, contro l’Ue e magari contro l’America, faticherà a durare a lungo.