Qualcuno ce l’aveva già detto

/ 04.04.2022
di Ovidio Biffi

Il 20 marzo, assieme alla notizia che quest’anno la primavera iniziava prima, su web e media si poteva trovare la dichiarazione di un diplomatico greco che rientrava in patria dopo essere rimasto intrappolato a Mariupol, da settimane assediata e bombardata dall’esercito russo. Manolis Androulakis, console generale della Grecia nella città ucraina, arrivato all’aeroporto di Atene dopo una rischiosa evacuazione, ha dichiarato che «come Guernica, Stalingrado, Grozny o Aleppo, anche Mariupol figurerà sulla lista delle città del mondo completamente distrutte dalla guerra». Questa ennesima testimonianza dell’insensata brutalità che sempre più contraddistingue l’invasione russa dell’Ucraina conferma la determinazione del presidente Putin di proseguire la sua sfida commettendo gli stessi crimini già perpetrati nel Caucaso e in Siria. Del leader che ormai da un ventennio comanda in Russia avrete già avuto modo di leggere o seguire sui social ritratti vari. Aggiungere qualcosa è decisamente arduo. Nel mio archivio ho però due cammèi che meritano di essere evocati. Il primo l’ho trovato in una magnifica recensione di alcuni anni fa di Paola Peduzzi del libro Fascismo. Un avvertimento (Chiarelettere), scritto dall’ex-segretario di Stato americano Madeleine Albright, scomparsa nei giorni scorsi. Facendo un lungo riepilogo di dittatori «lievitati» nell’ideologia fascista, citati Hitler, Stalin e Mussolini, la Albright approda sino a Milosevic, Chavez, Erdogan, Orban e, alla fine, anche a Vladimir Putin, da lei incontrato quand’era ancora semisconosciuto nel gennaio del 2000: «Putin è piccolo e pallido, così freddo che potrebbe essere un rettile. (…) È imbarazzato per quel che è accaduto al suo paese ed è determinato a restaurarne la grandezza».

Il secondo ritratto è invece reperibile nella biografia Una terra promessa, scritta dall’ex presidente americano Barack Obama. A partire da pagina 528 e dopo un preciso istoriato di quel che accadde in Russia con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione del vecchio ordine comunista, dedica alcune pagine al leader del Cremlino. Con una chiarezza di giudizio oggi arricchita da chiaroveggenza – il libro è stato scritto tra il 2018 e il 2020 – Obama tratteggia l’ascesa di Putin evidenziando la strategia del suo disegno politico. Dopo aver parlato di un «Putin (…) non interessato a un ritorno al marxismo-leninismo» anche se «la sua Russia assomiglia sempre più alla vecchia», l’ex-presidente Usa alza il tiro ricordando che Putin ha dapprima conquistato le leve economiche con una rete di oligarchi fedeli (chi si dissociava veniva subito privato di beni e influenze o sottoposto a procedimenti giudiziari), poi ha preso il controllo assoluto dei mezzi di informazione in parallelo a una durissima serie di coercizioni per reprimere ogni forma di dissenso. Obama conferma che sono queste le leve che hanno consentito a Putin di deviare il paese verso un nazionalismo di vecchio stampo volto a «riportare la Grande Russia ai fasti di un tempo», placando così la frustrazione del crollo e degli smarrimenti delle vecchie generazioni.

Secondo l’ex-presidente americano «Putin aveva un unico problema: la Russia non era più una superpotenza»; anzi, pur possedendo un arsenale nucleare, era priva di alleanze, produceva poca ricchezza e inoltre aveva corruzione e disuguaglianze sociali importanti (include persino «un’aspettativa di vita per gli uomini inferiore a quella del Bangladesh»). In conclusione, rispondendo a un consigliere (David Axelrod) che gli chiedeva un giudizio su Putin, Obama dice di averlo trovato simile a uno di quei boss di quartiere che in passato avevano guidato il Partito democratico di Chicago o Nuova York: «individui freddi, scaltri e spietati che della vita conoscevano soltanto ciò che avevano appreso dalle loro limitate conoscenze e che ritenevano clientelismo, corruzione, ricatto, frode e ogni tanto la violenza strumenti leciti del mestiere (…) Per loro, come per Putin, la vita era un gioco a somma zero». La serie «Qualcuno ce l’aveva già detto» è arricchita da una dichiarazione fatta dal presidente Obama durante il suo ultimo vertice Nato (Cardiff 2014): «Gli Usa sono stanchi di pagare per tutti (…) Ogni Paese deve contribuire alla difesa dell’Occidente e entro il 2024 portare il proprio contributo alla Nato al 2%». Otto anni dopo…