Durante il week end appena trascorso è partita la nuova stagione di Super e di Challenge League. Il calcio ticinese si è presentato al via con una novità. Dopo due anni torna a essere rappresentato da due società: il Lugano nella massima serie e il Bellinzona nel campionato cadetto. Si tratta di uno scenario per certi versi inimmaginabile, per altri prevedibile. Qualcuno all’ombra dei castelli storcerà il naso. Ma come, perché inimmaginabile? Beh, non possiamo sottacere che di questi tempi diventi sempre più difficile raccogliere fondi e risorse per mantenere un club sportivo nell’élite nazionale del calcio o dell’hockey su ghiaccio. Dopo che era stato decretato, nel maggio del 2013, il fallimento per eccesso di debiti dell’AC Bellinzona targata Giulini, si poteva ipotizzare una tendenza votata a una sorta di selezione naturale. Mentre il Lugano di Angelo Renzetti prima, quello di Joe Mansueto oggi, pareva già più destinato a raccogliere risorse, pubblico, affetto anche da altri angoli del Cantone che non fossero quelli abituali.
Dopo la conquista della coppa Svizzera da parte dei ragazzi sotto la guida del Condottiero Mattia Croci-Torti, questa ipotesi sembrava ancora più concreta. Il fallimento, aveva infatti costretto i Granata a ripartire l’anno successivo dalla 2a Lega. Il Locarno, per ragioni analoghe, navigava ancora più in basso. Ora si è assestato in 2a lega. Dal canto suo il Chiasso, retrocesso due anni fa in Promotion League, è alle prese con dei cambiamenti di assetto societario che, almeno per il momento, non danno l’impressione di essere preludio di una risalita.
Perché quindi accennavo a uno scenario anche prevedibile? Perché la storia e la passione possono far compiere miracoli. Si sa che a Bellinzona il calcio è scolpito nel DNA della gente. Se i colori granata corrono, il pubblico vola. Con pazienza e con tenacia , la società presieduta da Paolo Righettti ha saputo risorgere dalle proprie ceneri. E ora eccola qua, in Challenge League. Da come si è mossa sul mercato non sembra affatto intenzionata a fungere da comparsa. L’ex internazionale David Sesa a dirigere l’orchestra, e l’ex rossocrociato Gaetano Berardi, rientrato, a 34 anni, da una lunga e proficua esperienza all’estero, sono solo le luci più luminose di un gruppo che promette faville.
In Ticino siamo viziati dall’acceso dualismo tra Lugano e Ambrì-Piotta, senza il quale amore e slanci verso il campionato di hockey su ghiaccio ne uscirebbero molto ridimensionati. Basta confrontare gli indici di ascolto televisivo dei derby, con quelli delle partite che coinvolgono almeno una delle due ticinesi, e quelli delle sfide prive di loro. È un viaggio agli inferi.
Sarà possibile ricostruire la cultura del derby anche nel calcio? Chissà? Faccio fatica a trovare una risposta. Se guardassi la storia e tornassi indietro a un epoca non lontanissima, in una Lega Nazionale con 14 squadre, di cui 4 ticinesi, la risposta sarebbe scontata. Ma il calcio di oggi è diversissimo da quello di 20 o 30 anni fa. E non sto alludendo a questioni tecniche, tattiche o atletiche. Penso, oltre ovviamente alle risorse finanziarie, alle importanti esigenze strutturali: dallo stadio, compatibile con le norme UEFA, a tutte le figure professionali necessarie per far funzionare il meccanismo.
Giorni fa, sollecitato sulla coesistenza nell’élite di Lugano e Bellinzona, Mattia Croci-Torti, con diplomazia, ha dichiarato che per i nostri giovani non è facile compiere il grande balzo dalla U21 del Team Ticino alla Super League. Solo i fenomeni ce la farebbero senza soffrire. Per gli altri ragazzi è necessario un percorso graduale e morbido. Oggi ci ritroviamo con alcune squadre ticinesi in 2a lega, una in Promotion, una in Challenge e una in Super. Uno scenario apparentemente ideale. Se non fosse che lo spirito di campanile, da un lato può mettere le ali, dall’altro può rivelarsi un pesantissimo fardello.