Prima che le balene cantino

/ 15.11.2021
di Cesare Poppi

Quando il 14 novembre 1851 la casa editrice newyorkese Harper & Brothers, famosa per quella che sarebbe diventata la «Harper’s Magazine», pubblicò The Whale, romanzo destinato a passare alla storia come Moby-Dick, la caccia alla balena era una delle industrie più fiorenti del Nuovo Mondo. La produzione di olio di balena per l’illuminazione pubblica allora in piena espansione e la domanda di olii industriali raggiunse il massimo della crescita attorno al 1820 per poi declinare rapidamente attorno al 1870 con lo sviluppo dell’industria petrolifera che forniva kerosene e lubrificanti a prezzi concorrenziali. La pubblicazione di The Whale negli Stati Uniti era stata peraltro preceduta, il 18 ottobre dello stesso anno, dall’edizione inglese della storica Casa Editrice Richard Bentley (quelli di Dickens, Cooper e Stevenson, per intenderci).

Herman Melville aveva cominciato a scrivere la storia nel 1850, ispirandosi al successo di una serie di reportage ed opere letterarie di vario merito relative ad uno storico capodoglio maschio albino che frequentava le acque cilene noto ai balenieri come Mocha Dick, dall’isola lungo le coste dell’Araucania presso la quale avrebbe sostenuto parecchi ed infruttuosi scontri con le baleniere prima di essere ucciso. Mocha Dick era famoso per un suo modo personale di sfiatare con un potente getto verticale che produceva, nelle agghiaccianti descrizioni che ne costruirono la leggenda, «un ruggito udibile da lontano come lo sfiato di una potentissima macchina a vapore». Il suo colpo di coda era micidiale, di una potenza da mandare in frantumi le baleniere che tentavano di avvicinarlo per il colpo mortale. L’anomalia albina, la vulcanica sfiatata, la scaltrezza con la quale Mocha Dick aveva sconfitto più volte i suoi aguzzini, assieme alla memoria dell’affondamento della baleniera di Nantucket Essex il 20 novembre 1820 da parte di un capodoglio inferocito – con la conseguente storia di naufragio e cannibalismo (che certo i lettori dell’Altropologo ancora ricorderanno nei loro incubi notturni) – ispirarono Melville a scrivere quel grande affresco che sarebbe diventato Moby-Dick.

Ma affresco di cosa, di preciso? Di quella che viene unanimemente descritta come l’atto fondante di una letteratura finalmente «americana» e dunque non ancillare alla cultura europea è stato scritto di tutto e di più nel tentativo di capirne – posto che esista – il messaggio incluso nella lettera, lo spirito implicito nella narrativa. Il tono biblico della narrativa di Ishmael – un «Tutti Noi Narrante» protagonista che dalla Scrittura si ritrova sul ponte del fatale Pequod; l’ossessione di Ahab contro un fato implacabile che nella furia designa come oggetto della vendetta chi diventerà suo apocalittico carnefice; Queequeg, il boia arpioniere alieno ed innocente – eppure designato e condannato – che peraltro intravede per primo la fine – tutto, è stato detto, può essere letto come metafora di… Ognuno ci metta del suo, in quanto le attente, quasi etnografiche annotazioni tecniche sulla caccia alla balena e la sua storia naturale si intrecciano nella narrativa con l’apertura di istantanei spiragli metafisici che colpiscono il lettore con la stessa potenza evocativa del lampo di un faro ritmato da fasi sconosciute per il navigante che scruti ansioso un approdo troppo vicino a terra…

The Whale è forse il primo, vero romanzo «moderno» che scruta oltre sé stesso. Perduta l’autorevolezza della Parola Scritta all’ombra della quale era comunque cresciuta la letteratura occidentale sicura che nella Parola fosse contenuta la Verità, solo che l’Autore tentasse comunque di iscriversi a quel programma sia pure come suo sottoprodotto, Moby-Dick evoca la Scrittura per farne metafora di qualunque contenuto il singolo lettore voglia leggerci dentro. Il risultato è una sfida alla «razionalità del testo», ad una sua lettura «a lieto fine» nel caso che per questo si intenda la scoperta di un senso interpretativo definito – che non c’è.

Non è un caso che le prime edizioni di The Whale furono un fiasco tanto editoriale quanto di critica. Accolto meno peggio in Inghilterra (dove ci fu per la verità anche chi ne vide le qualità di capolavoro) fu ampiamente cassato negli States poiché, per dirla in breve, non si capiva bene dove l’Autore volesse andare a parare.

Oggi che abbiamo imparato che le balene cantano, anche il ruggito di Moby Dick ha tutt’altro, inquietante suono.