Visto quel che capita in molte parti d’Europa e considerato l’aumento massiccio di contagii da Coronavirus segnato in Svizzera la settimana scorsa, c’era da aspettarsi nuove misure preventive. Anche in Ticino, dove i casi hanno superato la quarantina al giorno. Diversi cantoni hanno introdotto l’obbligo di portare la mascherina in luoghi chiusi, in particolare nei negozi. Così ha deciso anche il governo ticinese, che ha ordinato anche la chiusura di discoteche, club e sale da ballo. Non che i negozi siano finora stati classificati come luoghi di contagio, ma la decisione dei cantoni, invitati ad agire dal governo federale, è da interpretare come una misura a forte impatto psicologico: se tutti indossiamo la mascherina siamo di riflesso portati a tenere una maggiore distanza dal prossimo. Ma a cosa è dovuto questo rapido e importante aumento dei casi?
Una risposta chiara non la sanno dare né gli epidemiologi, né cantoni e Confederazione. Si presume che il calo delle temperature induca più persone a stare all’interno, in locali poco arieggiati e poco ventilati, e questo favorisce la propagazione del virus. Ci sono poi dei cluster, qua e là (feste private e celebrazioni, con decine di persone contagiate), e la constatazione che nella vita privata si sta molto meno attenti a mantenere le distanze. Come riconoscono con preoccupazione anche le autorità federali, la popolazione è stanca di queste limitazioni, non è facile ottenere di nuovo maggiore disciplina; d’altronde, fintanto che le ospedalizzazioni e i decessi si mantenevano a livelli bassi era più che naturale che gradualmente si abbassasse la guardia. Ora la domanda è: quanto è grave la situazione?
Marcel Tanner, membro della task force scientifica federale e presidente dell’Accademia svizzera delle scienze, si esprime così sulla NZZ: «la situazione è molto preoccupante, ma non allarmante», fino a quando il tracciamento funziona non c’è problema. A dire il vero, qualche cantone comincia a perdere il controllo. Ma anche altri epidemiologici buttano un po’ di acqua sul fuoco, affermando che l’attuale numero di contagi non è paragonabile 1:1 con quelli registrati a marzo-aprile, i mille al giorno in primavera non equivalgono ai mille di oggi, perché allora si effettuava il tampone solo nei casi più evidenti, oggi basta il minimo sospetto. Secondo uno studio del team del professor Christian Althaus dell’Uni Berna e membro della task force federale, per ogni contagiato registrato ce n’erano nove che non venivano scoperti, quindi i 1000 di marzo-aprile equivalevano a 10mila casi al giorno. Oggi, secondo Althaus, accanto ai 1000 casi scoperti ce ne sono forse duemila che restano ignoti. Una valutazione (sui casi in primavera) in linea con due studi condotti in Ticino, secondo cui ad entrare in contatto con il virus è stato fra il 9 e l’11 percento della popolazione del cantone, non soltanto le 3500 persone registrate, e che trova riscontro anche nel tasso di positività dei tamponi effettuati: se il 30 marzo fu del 19,2 per cento, in estate era fra lo 0,4 e il 4,4 per cento, ora è risalito velocemente sopra il 6,6 per cento; significa che ci sono più casi che restano nascosti.
Le misure introdotte ora dai cantoni non avranno verosimilmente l’effetto diretto di interrompere le catene di contagio, ma sono un segnale di richiesta di maggiore disciplina e senso di responsabilità individuale e al contempo un avviso: se la situazione continuasse a peggiorare, verrebbero imposte misure più draconiane. Insomma, se vogliamo evitare nuovi lockdown è il momento di tornare a una maggiore prudenza. D’altronde, se tutti indossano una mascherina ci si può sentire collettivamente un po’ più sicuri.