Si entra nella stagione dei premi e delle gratificazioni. Un esercizio che può anche creare frustrazione. Messi o Jorginho? A chi, il Pallone d’oro? Staremo a vedere, non è di loro che mi voglio occupare. Certo, i premi contano, fanno piacere, ma non sono l’aspetto più importante della carriera di uno sportivo. In quest’ottica, il tempo non sempre è galantuomo.
Se, ad esempio, il pubblico televisivo svizzero fosse stato chiamato, a metà ottobre, ad esprimersi su chi, fra gli atleti di casa, ha dispensato le emozioni più vibranti, probabilmente non si sarebbe ricordato delle imprese di Lara Gut-Behrami tra gennaio e marzo 2021. Le ricordo brevemente: sei vittorie in Coppa del Mondo; seconda nella classifica generale dopo un’appassionante lotta con la vincitrice, la slovacca Petra Vlhová; dominio nella classifica finale del Super G; oro ai Mondiali, sia nel Super G, sia in Gigante; medaglie condite in agrodolce dal bronzo in Libera. A fine marzo era difficilissimo immaginare un’altra sportiva elvetica in grado di fare altrettanto.
Ma ai Giochi Olimpici di Tokyo, le nostre ragazze si sono scatenate. Belinda Bencic, tennista tanto talentuosa quanto incostante, si è portata a casa l’oro nel singolare e l’argento nel doppio, con Viktorija Golubic. La tiratrice Nina Christen si è messa al collo un oro e un bronzo. La biker Jolanda Neff ha dominato la gara di cross country. Di eccezionale, in stagione, ha fatto solo quello, ma quel giorno, alle sue spalle, giunsero altre due connazionali, Sina Frei e Linda Indergand, a completare un podio storico, leggendario, mitico, interamente rossocrociato.
Quel 27 luglio, in patria, ci fu per molti una overdose di lacrime e di emozioni. Se si fosse votato a fine luglio, Jolanda, Nina e Belinda si sarebbero giocate il titolo di Regina elvetica dello sport 2021. Le imprese di Lara sarebbero passate in secondo piano. Lontane, nel tempo, in una società in cui anche la fruizione degli eventi soggiace alla brutale legge dell’usa e getta.Tuttavia, il calendario suggerisce anche repentini cambi di rotta. Il 23 ottobre, sul ghiacciaio austriaco del Rettenbach, sopra Sölden, è ripartita la Coppa del Mondo di sci. Il primo Gigante stagionale ha subito messo in vetrina le tre grandi campionesse che, al netto di non auspicabili infortuni, si giocheranno fino a marzo la conquista delle Sfera di cristallo.
Sul gradino più alto, la statunitense Mikaela Shiffrin, che ha dato l’impressione di aver superato il pesante contraccolpo psicologico dovuto alla scomparsa del padre. Subito sotto, staccata di pochi centesimi, Lara Gut-Behrami. Era dal 2016 che la campionessa di Comano non cominciava così bene la stagione. Guarda caso, proprio in quella circostanza, fu capace di reggere fino alla primavera, e di riportare a casa la Coppa del Mondo, 29 anni dopo la leventinese Michela Figini. Sul gradino più basso, infine, ci è salita la slovacca Petra Vlhová, lo ribadiamo, la migliore alla fine della scorsa stagione, allenata da alcuni mesi dall’airolese Mauro Pini. Un podio che sa di promessa. Che ci fa venire l’acquolina in bocca. Che ci mette nella prospettiva di vivere una stagione esaltante, che, prima del suo climax, proietterà tutti sul prestigioso palcoscenico olimpico di Pechino.
Situazione analoga in campo maschile, con il nostro Marco Odermatt che ha posto il suo prestigioso sigillo sulla prova di apertura. Non so se riuscirà a laurearsi Re nazionale dello sport. I suoi Mondiali sono stati buoni, ma non stellari. Sono convinto che sia lui, sia Lara sarebbero lieti di potere essere incoronati. Tuttavia, sono altrettanto convinto che non baratterebbero questo eventuale riconoscimento con una medaglia olimpica o con il trionfo in Coppa del Mondo.
Alcuni giorni fa, quando la Federazione mondiale di atletica ha diramato i nomi dei dieci candidati al titolo di atleta dell’anno, la stampa italiana si è indignata per la mancata designazione dell’oro olimpico del salto in alto, Gianmarco Tamberi, e soprattutto per l’assenza di Marcell Jacobs, oro sui 100 metri e nella staffetta 4 x 100, dopo che in primavera aveva conquistato il titolo europeo indoor sui 60.
È vero che quest’ultima esclusione grida allo scandalo. Ma se c’è qualcuno che l’ha presa con sana filosofia è proprio il diretto interessato.