Annunciata e attesa dagli esperti da più trimestri, la svolta della Banca nazionale in materia di tassi di interesse è finalmente arrivata. In un comunicato del 16 giugno la Banca dichiara di aver deciso di alzare il suo tasso di interesse di riferimento e quello sui depositi a vista di un mezzo per cento, dallo –0,75 allo –0,25. La ragione principale di questa decisione è data dalla volontà di combattere l’inflazione. La stessa si basa sull’assunto teorico stando al quale per combattere il rincaro occorre diminuire la quantità di moneta in circolazione e che per far questo bisogna aumentare il tasso di interesse. Nella teoria economica non c’è niente di più semplice. Il tasso di interesse viene considerato alla stregua di una manopola per controllare la pressione di un gas all’interno di un recipiente. Solo che i movimenti per combattere l’inflazione sono il contrario di quelli che si farebbero per controllare la pressione di un gas. Se l’inflazione sale, infatti, aumentando il tasso di interesse, si chiude la manopola del credito; quando scende, invece, la si riapre riducendo il tasso di interesse. Così gli aumenti e le diminuzioni del tasso di interesse di riferimento della Banca nazionale dovrebbero poter regolare le variazioni dei prezzi.
Se le cose stessero come vengono descritte dalla teoria monetaria più semplice, l’andamento dei prezzi potrebbe quindi essere controllato anche da un bambino. Nella realtà di un sistema economico di piccola taglia e aperto sul resto del mondo come è quello svizzero le cose sono un po’ più complicate. In effetti, se i tassi di interesse aumentano, la Svizzera attirerà capitali. Di conseguenza il franco svizzero si rivaluterà. La rivalutazione del franco svizzero aiuterà a contenere l’inflazione importata dall’estero, ma minaccerà lo sviluppo delle esportazioni. E per la congiuntura di una piccola economia aperta non c’è minaccia peggiore che quella di vedere le sue esportazioni ridursi. La decisione di combattere l’inflazione rialzando il tasso di interesse mette quindi i responsabili della BNS davanti all’alternativa di dover scegliere, tra due mali, il male minore. Combattere il rincaro anche se questa politica può indurre una recessione o proteggere le esportazioni e la crescita dell’economia nazionale?
Fino al 15 giugno di quest’anno, i banchieri della BNS avevano deciso di non intervenire sull’offerta di denaro per proteggere la congiuntura dell’economia nazionale. Quel giorno la NZZ ha pubblicato un intervento del prof. Ernst Baltensperger, professore emerito di economia e decano degli esperti della politica della BNS, che invitava esplicitamente la stessa ad avere il coraggio di accettare una rivalutazione del franco e questo per impedire che l’inflazione venisse alimentata dalle importazioni. Per il prof. Baltensperger questo significava che il tasso di interesse doveva essere normalizzato e le enormi riserve in divise della Banca nazionale dovevano essere ridotte. È quello che la Banca ha poi fatto con la sua decisione del giorno dopo. E il prof. Baltensperger si è così guadagnato i galloni di capo-squadra dei pompieri. Certo i responsabili della BNS sapevano che, un momento o l’altro, sarebbero dovuti intervenire. Ma aspettavano, per farlo, che la Banca centrale europea cominciasse a rialzare i tassi di interesse, e questo per evitare che una differenza nei tassi di interesse tra la Svizzera e l’UE inducesse un rafforzamento del franco svizzero mettendo in crisi i nostri esportatori. Finora però la BCE non si è decisa a cambiare la sua politica della moneta facile. La BNS ha dunque deciso, seguendo la raccomandazione del prof. Baltensperger, di accettare un rafforzamento del franco e il rischio di una recessione per poter evitare, se le sue previsioni sono attendibili, che, da noi, il rincaro superi il 3% nei prossimi due anni. Nel suo comunicato del 16 giugno si può leggere che il rialzo del tasso di interesse di riferimento è dovuto al fatto che, in maggio, il tasso di inflazione ha raggiunto in Svizzera quasi il 3%. Le previsioni per il futuro, con un tasso di interesse di riferimento pari allo –0,25% danno un rincaro pari al 2,8% per il 2022, all’1,9% per il 2023 e all’1,6% per il 2024. Senza il rialzo del tasso di interesse, il rincaro sarebbe notevolmente più elevato. Per quel che concerne la crescita della nostra economia la BNS precisa nel suo comunicato che attualmente la congiuntura economica è minacciata da tre avvenimenti: l’inflazione, la guerra in Ucraina e la pandemia di Covid. Anche senza il rialzo del tasso di interesse, quindi, la recessione resterebbe sempre dietro l’angolo.