Gli umori sono pessimi. Eppure ci sarebbe da essere anche contenti: l’uomo con i capelli a lunga spazzola ha detto che almeno per un po’ interromperà gli esperimenti nucleari; le paralimpiadi sono un segno di grande civiltà globale; la futura principessa Meghan è proprio carina e Melania sta punendo il marito traditore con silenzi e musi lunghi, applaudita dalle femmine di mezzo mondo. Ma gli sguardi sono torvi, o almeno tristi, i sorrisi di convenienza. Che cosa succede? Presto detto: piove. E non solo su «le tamerici salmastre ed arse», non solo «su i pini, scagliosi ed irti», «su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti». Fosse così, pazienza, l’acqua fa bene al bosco. E non avrà fatto male a Gabriele D’Annunzio e a Eleonora Duse, usciti a passeggio nella pineta toscana e sorpresi, forse era il 1902, da un temporale. I volti silvani, le mani ignude, i vestimenti leggieri, «i freschi pensieri che l’anima schiude novella» volentieri si lasciano impregnare di pioggia, fino a portare i due amanti a identificarsi con la natura, «una favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione».
Il dolce soprannome di Eleonora è in verità il nome di un personaggio mitologico sanguinario come tutti quelli legati al ciclo della guerra di Troia. Ermione è la bella figlia di Menelao ed Elena, sposata a Neottolemo figlio di Achille. Quando però Neottolemo accoglie tra le schiave e amanti anche la prigioniera Andromaca, vedova di Ettore, Ermione non la può sopportare e uccide direttamente il marito, con l’aiuto di un altro figliolo dal coltello facile, Oreste matricida, figlio di Agamennone e Clitennestra, suo cugino e poi sposo. Ma abbandoniamo i miti, rimandando all’Ovidio delle Lettere di Eroine per trovare la richiesta di aiuto di Ermione a Oreste, abbandoniamo Eleonora Duse e la pineta, torniamo alle nostre giornate uggiose. Piove e pioverà, le previsioni crudeli sostengono nubi e diluvi fino alla fine del mese, anche dopo il 21, quando la vecchia festa di San Benedetto non troverà alcuna rondine sotto il tetto, e comunque non ci sarà bisogno della sapienza di Aristotele per dire che «una rondine non fa primavera»: non ci saranno ancora rondini (il proverbio è proprio trascritto in una delle sue Etiche, per dire che non basta che un atto sia compiuto una volta perché diventi un ethos, un abito o costume o consuetudine).
Tra crisi di malinconia, scuotimenti di testa, malumori da dolori articolari, non resta che cercare altri elementi positivi. Egoisticamente, posso dire per esempio di provare soddisfazione per la durata del brutto tempo: con i saldi avevo comprato una borsa di pelo, aggiungiamo poi che un’amica mi aveva regalato per il compleanno un cappotto vintage pesantissimo, se fosse arrivata subito la primavera come avrei potuto sfruttare i nuovi acquisti? Ma capisco che siano pensieri poco consolanti, soprattutto per chi non gode né della borsa pelosa né del cappottone antigelo. Proviamo con qualcosa d’altro: quando due giorni fa per qualche ora è spuntato un bel sole degno di aprile, bisognava vedere la felicità nei volti e nelle email. Il godimento della bella giornata è stato molto più intenso grazie alle piogge precedenti e, ahimé, seguenti. Un’intuizione che fu già di Socrate, come leggiamo nel Fedone: l’anziano filosofo, prigioniero e in attesa della condanna a morte, è tenuto incatenato come un criminale comune. Poco prima di fargli bere la cicuta, i carcerieri gli tolgono le catene, che evidentemente stringevano la caviglia del prigioniero. Grande è il sollievo, «quanto è mai strano questo che gli uomini chiamano piacere e in quale straordinaria maniera si comporta verso quello che pare il suo contrario, il dolore!».
Sono come due che non vogliono mai stare insieme, eppure se prendi uno sei costretto a prendere anche l’altro, se godi del piacere soffrirai per la sua fine o per la sua vanità, se soffri a causa del dolore, godrai anche solo del suo attutirsi o del suo scomparire. Piacere e dolore non vogliono fare pace, il dio avrebbe legato i loro estremi a un solo capo e, «così, dove compare l’uno, subito dopo segue anche l’altro». Non va bene abituarsi ai giorni di sole, se ne gode di più quando se ne è sofferta la mancanza. È esperienza quotidiana: attesa, delusione, carenza, sono tutte realtà che fanno molto più apprezzare ciò che manca. Ovviamente non può nemmeno diventare una fissazione, come aveva un’amica con cui andavo a camminare in montagna. Il pranzo va guadagnato, diceva, nemmeno un sorso d’acqua o un morso al panino finché non si è abbastanza faticato. I panini venivano certo goduti, ma le ore precedenti sapevano più di esercitazione che di scampagnata. E poi, perché si deve soffrire per godere? Non è meglio pensare ai prati che saranno più verdi, al grano che crescerà, all’umidità che fa arricciare vieppiù i bei capelli ricci, all’estate che forse non sarà torrida, alla favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione?