Periferia o quartiere?

/ 01.11.2021
di Luciana Caglio

Quale sarà il destino del Molino Nuovo: lo decideranno i luganesi, chiamati prossimamente alle urne per una consultazione, per così dire anomala. Questa volta, infatti, non si assiste allo scontro fra destra e sinistra o fra potere e opposizione o fra conservazione e rinnovamento. Anche la posta in gioco, del resto, appare confusa, addirittura contraddittoria. Si tratta, appunto, di decidere le sorti della zona nord della città: da considerare una periferia, qual è per sua natura, o da promuovere a quartiere, quale potrebbe diventare?

I due termini, se concernono entrambi una condizione urbanistica, non sono però sinonimi. Mentre quartiere spetta a un luogo, ben ancorato alle proprie radici storiche e culturali, in grado di garantire una buona qualità di vita, periferia è, come dice il nome, una zona marginale, un contorno rispetto al centro. Secondo la fortunata definizione dell’antropologo Marc Augé, un esempio di «non luogo», da evitare. Sulla scorta di queste considerazioni, il votante luganese dovrebbe logicamente esprimersi a favore del Molino Nuovo quartiere. Che si chiamerà Cornaredo, amplierà i suoi contenuti, oltre lo stadio sportivo, diventando il simbolo dello sviluppo virtuoso di una Lugano che vanta già una decina di quartieri, cioè piccoli centri autonomi.

Si tratta di veri e propri «paesi nella città», teorizzati da urbanisti in vena di ottimismo. Ma la realtà, non di rado, sconfessa i visionari. E così anche Cornaredo, undicesimo quartiere cittadino, si trova alle prese con un ostacolo particolarmente imbarazzante. In parole povere, la sua nascita e la sua crescita rischiano di danneggiare la vitalità economica e sociale di un centro già in affanno. 

Il discorso non è certo nuovo. Da anni, anzi da decenni, conclusa l’euforica stagione del boom bancario, il centro soffre. E non si tratta della solita lamentela, vezzo praticato soprattutto dai commercianti, e aggravato dalla pandemia. Il disagio, confermato dalle statistiche, è visibile. Cala, incessantemente, la popolazione residente, in particolare i giovani. Questione di affitti troppo alti e questione di nuove abitudini di vita, ispirate alla riscoperta delle fatiche e dei piaceri rurali, come pure al culto del fisico, tipo jogging e palestra.

Da qui gli effetti percettibili nella quotidianità urbana: la via Nassa perde cultori, ne conquistano i parchi e la foce. Ora, nel pieno della crisi, arriva la prospettiva di un’ulteriore «minaccia»: sono gli stessi luganesi a proporre il trasloco di uffici e servizi a Cornaredo. Scontate le conseguenze per bar, ristoranti, negozi di Piazza Riforma, piazza Cioccaro, via Canova, piazza Dante. Imperscrutabili, le motivazioni che l’hanno provocato. Anche nella saggia Svizzera, patria della democrazia diretta, capita sempre più spesso di avvertire una crescente distanza nei confronti dei politici, chiusi in un mondo a parte.

Altrove, però, se può consolare, è peggio. Mi è capitato di riascoltare questo leitmotiv, a proposito della contrapposizione periferia-quartiere: tema che ha fatto recentemente notizia grazie a Mahmood, il rapper vincitore a Sanremo, e in pari tempo protagonista del riscatto d’immagine di Gratosoglio. Proprio questa località della periferia al sud di Milano, racconta esemplarmente una storia di rinascita e di decadenza. Le sue torri bianche, progettate negli anni 60 da architetti d’avanguardia, impegnati nell’edilizia popolare, subirono poi un incessante degrado tanto da rendere Gratosoglio una tipica periferia dormitorio, sinonimo di abbandono, malavita: un luogo dell’assenza, insomma. Tuttavia, si registrano, non soltanto qui, sintomi di risveglio. E risveglio di consapevolezza, che accomuna al di là dei confini. 

Si tratta, secondo l’Ufficio federale per lo sviluppo territoriale e l’energia, di stimolare il contatto città-edificio, intensificare i rapporti fra vicini. E qui si tocca un ambito delicato: la festa dei vicini, ufficializzata, stenta a imporsi, in un Ticino restio agli abbracci pubblici, dove si preferisce farsi i fatti propri. Tuttavia, retorica a parte, il covid ha rivelato capacità d’aiuto e d’amicizia insospettate.