Pericolo di inflazione più concreto

/ 14.06.2021
di Angelo Rossi

Nel corso delle ultime settimane si sono moltiplicati i segnali inflazionistici. All’inflazione degli Stati Uniti, che conosciamo da mesi si sono aggiunti gli aumenti dei prezzi nei paesi europei. A metà maggio il tasso di inflazione degli Stati Uniti aveva raggiunto il 4,2%, vale a dire un livello che comincia a preoccupare le autorità monetarie della maggiore economia mondiale. Vi sono specialisti che prevedono per gli Stati Uniti un’inflazione del 5% nel 2022 e una del 6% l’anno successivo. La ministra americana delle finanze, Janet Yellen, ha annunciato che vista l’evoluzione in atto non si possono escludere in futuro aumenti del tasso di interesse.

Stando a Eurostat la progressione del tasso di inflazione durante gli ultimi mesi nei paesi dell’Ue è stata la seguente: in febbraio il rincaro annuale era ancora pari allo 0,9%. In maggio era salito al 2% Questo significa che, se la tendenza all’aumento dei prezzi dovesse continuare, anche le economie europee marcerebbero verso un tasso di inflazione del 4% verso la fine di quest’anno. In testa al movimento di rialzo dei prezzi vi è l’economia tedesca. Mentre in gennaio il tasso di inflazione annuale di questa economia era pari all’1,65%, in maggio era già salito al 2,4%. Anche l’economia svizzera partecipa a questo movimento dei prezzi verso l’alto, ma in misura molto più contenuta del resto dei paesi europei. Così il tasso di inflazione annuale, calcolato con l’indice dei prezzi al consumo, che era pari al – 0,5% in gennaio è salito solo allo 0,6% in maggio. La dinamica del rincaro è però uguale a quella degli altri paesi europei.

Sulla natura dell’attuale spinta inflazionista non esiste un accordo tra gli esperti. I tradizionalisti sostengono che il rialzo dei prezzi è attualmente nient’altro che la conseguenza della crescita della quantità di moneta in circolazione. Questo aumento viene poi attribuito al fatto che le banche centrali stanno monetizzando gli enormi debiti accumulati dagli Stati durante il periodo della pandemia. Per questi esperti non v’è dubbio che l’attuale episodio inflazionistico potrebbe durare a lungo, indipendentemente dalle misure che potrebbero essere applicare per combatterlo, come l’aumento dei tassi di interesse. Altri esperti pensano invece che il rialzo dei prezzi non durerà nel tempo. Per loro il rincaro di questa primavera è da ascrivere all’influenza di una serie di fattori transitori che non dovrebbero più manifestarsi nel medio e nel lungo termine. Un esame anche superficiale dei fattori rincaranti mette in evidenza per l’Europa (Svizzera inclusa) i prezzi dell’energia. Il barile di petrolio Brent (petrolio di origine europea) è tornato, a inizio giugno, sopra i 70 dollari mentre era ancora sui 55 dollari nel mese di gennaio di quest’anno. La probabile ripartenza delle economie europee dopo la lunga pausa, imposta dalla pandemia del Covid 19, dovrebbe spingere ancora di più verso l’alto il prezzo del petrolio e quindi anche il tasso di inflazione.

Un secondo fattore di rincaro può essere costituito dalle revisioni dei pesi delle singole categorie di spesa che concorrono a fissare l’indice dei prezzi. L’indice dei prezzi al consumo è calcolato partendo dalle inchieste sulla spesa delle economie domestiche. Ora la pandemia ha determinato una modifica significativa di questa spesa facendo diminuire le categorie di spesa per il turismo e la mobilità e facendo aumentare invece la spesa per la casa, per gli alimentari e per le attrezzature che consentono di lavorare o di praticare attività fisiche in casa. È stato accertato che le recenti revisioni del metodo di calcolo dell’indice dei prezzi hanno portato a dar maggior peso proprio a quelle categorie di spesa che sono cresciute durante la pandemia. Anche in Svizzera si è proceduto, nel 2020, a una revisione del metodo di calcolo dell’indice dei prezzi. È dunque possibile che parte dell’attuale rincaro sia dovuto all’aumento di peso di certe categorie di spesa che, durante la pandemia, sono particolarmente cresciute. Infine è possibile che sull’attuale tendenza inflazionistica abbia influito anche lo spostamento delle date per i saldi, determinate dalle chiusure dei negozi indotte dalla pandemia. Questi e altri fattori transitori rendono volatile la tendenza all’aumento dei prezzi. Essa potrebbe dunque scomparire con la fine della pandemia.