Perfezionismo elvetico: addio?

/ 18.12.2017
di Luciana Caglio

Schadenfreude. È la prima, e intraducibile, parola che viene spontanea leggendo l’articolo, pubblicato sul suo Blog, da Januaria Piromallo, giornalista del «Fatto quotidiano»: dove racconta le sue peripezie di automobilista, bloccata per sette ore, sull’autostrada Aigle-Martigny-Losanna, l’11 dicembre. Semplicemente, per via di un po’ di neve che «ha mandato in tilt il paese più organizzato del mondo». E, poi, giustamente, dalla cronaca di un incidente si passa alla denuncia del mancato intervento dei soccorsi, in termini che vorrebbero essere ironici: «Cucù, dov’era il ministro delle infrastrutture? A godersi il weekend davanti a un caminetto scoppiettante?». Ma, adesso, il tono s’incupisce, diventa da tregenda: «Siamo carne umana chiusa nell’abitacolo della nostra auto. Ma chissenefrega».

E così il discorso si allarga, anzi sbanda. Diventa il pretesto per vuotare il sacco nei confronti di un paese detestato e detestabile. Dove ci si crede «infallibili», dove «l’osservanza maniacale delle norme a oltranza rientra nella loro visione del mondo», «dove vige una precisione da cronometro: il tempo non va sprecato, ma regolato pedissequamente», ecc. Dopo quattro ore, Januaria ha un’urgenza. Chiede di usufruire del WC del camper dei suoi vicini, una coppia di pensionati svizzeri. «Ho le mani ghiacciate, e la signora Eva me le riscalda: un gesto di umanità solidale che solitamente non appartiene allo svizzero». Al termine di questa giornata di sofferenze, la giornalista riceve, però, un sms confortante. Ha appena pubblicato un libro che, come le comunicano, a Roma, sta avendo successo. S’intitola Te la do io la Svizzera. Heidi non abita più qui. Insomma, la Schadenfreude non soltanto procura l’aspro piacere di godere dei mali altrui, ma si vende pure bene.

Niente di nuovo, figurarsi, nell’episodio, che abbiamo riportato. E, ovviamente, scontate le reazioni che, sui social, dovevano riaprire, più che una polemica motivata, uno scontro di risentimenti. A cui abbiamo fatto l’abitudine. Rappresenta, proprio in Ticino, paese di frontiera, una costante addirittura storica. Una sorta di bega tra fratelli: i «taian», o «badola» come si chiamavano una volta, sbruffoni e inaffidabili, e «svizzerotti», chiusi e taccagni.

Con ciò, al di là delle esternazioni, cariche di pregiudizi, della nostra collega italiana, l’episodio si presta a ben altre considerazioni. Purtroppo, quell’incidente era vero e rivelava, anzi confermava una realtà che si stenta ad accettare. Rappresentano primizie inverosimili. Già, agli inizi di dicembre, pochi centimetri di neve avevano provocato il caos sulle strade vodesi e solettesi e ritardi e interruzioni nel traffico ferroviario. Il peggio doveva, poi, arrivare con la successiva nevicata del 10 dicembre che, in Ticino, ha avuto effetti senza precedenti. La stazione di Bellinzona chiusa, treni fermi ad Airolo. Neppure nel 1951, l’anno delle storiche valanghe, si era visto qualcosa di simile, come ricordava, allibito, un anziano airolese. Mentre le spiegazioni dei portavoce delle FFS non facevano che accrescere lo sconcerto: colpa dei treni dell’ultima generazione, troppo leggeri. Consapevoli della loro incompetenza tecnologica, i cittadini devono arrendersi, rifugiandosi nel rimpianto: un rischio che va di moda. Per dirla con Zygmunt Bauman, illustre sociologo recentemente scomparso, «la nostalgia è un sentimento di perdita e spaesamento, ma anche una storia d’amore con la propria fantasia».

Ora, perdita e spaesamento sono sentimenti nuovi proprio per gli Svizzeri, abituati a godere i vantaggi di una quotidianità al riparo da disordini, inadempienze, trascuratezze. Insomma, treni puntuali, rifiuti sgomberati, invii postali recapitati, strutture pubbliche ben tenute, scuole e ospedali ben funzionanti. Ovvietà, se si vuole, ma da cui il paese traeva un giustificato orgoglio, da sfoggiare sul piano internazionale. Erano, non da ultimo, un indizio di rispetto nei confronti dei cittadini, abituati, forse viziati dal perfezionismo elvetico. Oggi, francamente, in pericolo. E, per tutti quanti, una lezione di umiltà.