Perditempo e perdicose

/ 24.01.2022
di Bruno Gambarotta

Quelli che hanno sempre una scusa pronta, ovvero quelli che si auto assolvono. Si dividono in due grandi categorie: i ritardatari cronici e gli smemorati, quelli che perdono gli oggetti o meglio non ricordano più dove li hanno messi. Noi ritardatari siamo i più creativi, poiché è da molto tempo ormai che la scusa del traffico non serve più: perché non hai controllato il navigatore? Una volta, ad agosto, ero in ritardo di due ore buone; solo in casa, a causa del caldo, mi ero addormentato verso l’alba e non avevo sentito la sveglia. In una Torino deserta non era proprio il caso di parlare di traffico. Mi sono inventato che, quando stavo già parcheggiando l’auto, mi ero accorto che avevo perso sangue dal naso, macchiando il vestito. Ero stato costretto a ritornare a casa per ripulirmi.

Il mio direttore, ascoltate le mie scuse, esclamò, con un sorriso di trionfo: «Epistassi!». Padroneggiava quel termine, era uno dei pochi che ne conoscessero il significato, mi era grato perché gli avevo offerto l’occasione di esibirlo. Era fatta. A partire da quel giorno, arrivando trafelato in ritardo, era sufficiente che mi toccassi il naso con un dito per farlo prorompere nel grido: «Epistassi!». A volte basta poco per far felice un uomo. Ho smesso solo quando il direttore voleva a tutti i costi fissarmi un appuntamento da uno specialista.

In quella squadra non ero il solo ad arrivare in ritardo. Ho ascoltato colleghi raccontare con voce ancora emozionata che un piccolo aereo in avaria era stato costretto ad atterrare sull’autostrada, bloccando il traffico. Il motto di coloro che si scordano dove hanno messo gli oggetti è: «La casa non ruba, nasconde. Ce l’avevo in mano fino a un attimo fa, non può essere sparito. Stavo rimettendolo al suo posto quando è squillato il cellulare nell’altra stanza». Variante: «Hanno suonato al citofono, mai nessuno che vada a rispondere. L’ho posato da qualche parte e adesso non mi ricordo più dove». È il momento di umiliarsi e chiedere aiuto: «Se mi date una mano a cercarlo lo troviamo subito». I bambini, con il noto altruismo che li contraddistingue, rilanciano: «Cosa mi dai se te lo trovo?».

Per quanto riguarda gli adulti, bisogna distinguere se l’oggetto scomparso interessa in quel momento solo il famigliare che l’ha perso oppure è qualcosa che in quel momento servirebbe a tutta la famiglia. Nel primo caso i grandi hanno tutti qualcosa di più urgente da fare. Nel secondo caso inizia una caccia al tesoro collettiva, guidata dall’esperto in ritrovamenti. «Dunque, vediamo un po’», dice, rivolto all’autore dello smarrimento: «Devi rifare tutti i gesti e tutti gli spostamenti che hai fatto dal momento che hai preso in mano l’oggetto». «Ricordo di averlo notato sul tavolo di cucina e di aver pensato che quello non era il suo posto. Se in questa casa fossimo tutti un po’ più ordinati queste cose non succederebbero. L’ho preso in mano e mi sono diretto verso il ripostiglio in fondo al corridoio per riporlo nell’armadietto metallico, perché quello è il suo posto».

In queste ricostruzioni affiora sempre una vena polemica, quasi a voler scaricare su altri la colpa dello smarrimento. «Andiamo avanti», incita lo specialista in ritrovamenti. «Ricordo che ce l’avevo ancora in mano quando sono passato accanto al ritratto dei nonni e ho notato l’appunto infilato nella cornice: telefonare al dentista per spostare l’appuntamento. Mi sono detto: se non lo faccio subito va a finire che me lo dimentico. Non potevo telefonare con quell’affare in mano. L’ho posato da qualche parte. La segretaria del dentista mi ha proposto un’altra data. Dovevo segnarmela sull’agenda, mi sono ricordato che erano due giorni che non la trovavo, mi sono messo a cercarla». «Non potevi cercarla dopo?» «No, perché quella mi aspettava al telefono». «L’hai trovata almeno?». «No, ma tanto la segretaria aveva già messo giù. È a questo punto che non mi ricordo più cosa ne ho fatto della cosa che stavo rimettendo al suo posto». «Forse l’hai lasciata nel posto dove stavi cercando l’agenda. Dove la cercavi?». «Non potete pretendere che mi ricordi tutto io».

Parliamo invece degli oggetti non di uso quotidiano la cui scomparsa viene segnalata parecchio tempo dopo che qualcuno li ha utilizzati. Il termometro per la febbre o le chiavi della cantina. Una ventata inquisitoria si abbatte sulla famiglia: chi è stato l’ultimo a usare il termometro? Quelli che perdono gli oggetti hanno però un grande merito: il loro ritrovamento scatena una generale felicità. Conosco gente che tiene sempre in frigo una bottiglia di moscato per festeggiare.