Vedo in foto una lunga coda di spettatori in attesa di entrare al Fevi per una serata del Festival del cinema di Locarno. Normale, mi dico: il Pardo ha anche delle code, e belle lunghe. Subito la mente vola all’ossessiva ripetitività dei nostri media in fatto di code autostradali. In tempi remoti capitavano a Pasqua, Pentecoste e Ascensione. Ora invece le chilometriche colonne di veicoli al portale del San Gottardo ci sono quasi tutti i weekend di primavera ed estate, addirittura anche alla domenica mattina, fotocopiate due o tre giorni dopo al portale sud. Inevitabile qualche considerazione sul tema, a cui abbino anche un ricordo di gioventù. Inizio consultando un amico «codofobo», uno che rifiuta di mettersi al volante se avverte solo un vago timore di incappare in una coda autostradale: decenni di residenza nella Svizzera tedesca non bastano però a farsi un’idea del perché migliaia di confederati e nord europei continuano imperterriti a flirtare con questo «insulto all’intelligenza». Certo le code ci sono sempre state, probabilmente c’erano anche ai tempi dei cambi delle carrozze a cavalli, per colpa del romantico «Drang nach Süden» (ovvero la brama di andare a sud), richiamo prima legato alla ricerca di condizioni climatiche migliori al sud, poi al desiderio di evadere dalla lagna quotidiana di certe lande confederate o della Germania. Ma oggi, con inversioni climatiche e lande assolate ormai globalizzate, cosa può spingere migliaia di persone a mettersi in viaggio come rondini o cicogne con la certezza di finire in un imbuto?
Qualche spiegazione potrebbe forse giungere organizzando interviste di auto in auto e chiedendo ai protagonisti, non tanto dove vanno in vacanza, ma piuttosto perché non evitano gli imbottigliamenti. Arrivo a immaginare che in estate – sulla falsariga del suo Siamo fuori pomeridiano – la RSI realizzi un Siamo in coda in diretta dalla A2. Magari scopriremmo che per molti vacanzieri rimanere a lungo «in stand by» ha lo stesso valore di una pausa relax che interrompe la monotonia del viaggio sul nastro autostradale. Se così fosse, sarebbe il caso di creare un «care giver» autostradale, magari via whatsapp o sms, offrendo servizi di supporto e sostegno psicologico nei giorni «da bollino rosso». O magari sentiremmo qualche coppia confessare che il trovarsi incolonnati in definitiva è un’opportunità per tornare a dialogare e comunicare senza social…
Lascio questi ghiribizzi mentali per evocare uno scherzo con protagonisti vacanzieri incolonnati alla fine anni Sessanta. A quei tempi, a inizio estate, le vacanze di opifici e fabbriche della Svizzera interna e del sud della Germania causavano già allora intoppi lungo tutta la cantonale. L’autostrada nazionale era solo in progettazione e il forte flusso che oggi si incolonna solo al Gottardo (la galleria doveva ancora attendere quasi un ventennio) era diluito in una fila indiana di auto dal passo del Gottardo fino alla dogana di Ponte Chiasso. Quel fiume notturno di vacanzieri toccava anche Massagno dove, al curvone del Sole, iniziava la discesa verso Lugano stazione e poi proseguiva verso Paradiso, Melide, il Mendrisiotto e l’Italia. Ogni inizio estate si attendeva quel flusso seduti davanti a un bar (ovvio, del Sole) dispensando anche commenti e saluti ai forestieri.
E lo scherzo? Una goliardata, degna di Tognazzi e Moschin nel film Amici miei. Sapete cos’è (o cos’era) una calotta? Un copricerchione a mo’ di marmitta che celava i bulloni delle ruote e il mozzo delle automobili. Immaginatene una, legata a un lungo filo di spago e lanciata sull’asfalto quando una vettura di quel flusso continuo affrontava la curva con un po’ di velocità: il rumore della latta quasi sempre induceva il conducente a frenare e a fermarsi. Ma appena l’autista scendeva dal veicolo per recuperare quella che riteneva fosse una delle sue calotte, qualcuno (solitamente l’inventore dello scherzo, il mitico Lubini) con un deciso strappo al filo tirava indietro la calotta scatenando una miscela fra risate di nullafacenti confuciani al bar e maledizioni di vacanzieri beffati arrabbiati. Per dire: sessant’anni fa le colonne d’auto ai giovani suggerivano goliardate, oggi invece li inducono a incollarsi sull’asfalto.