Perché perché la domenica mi lasci sempre solo

/ 14.08.2023
di Claudio Visentin

In campo, Svizzera e Filippine. Parte un lancio dalla difesa. Sulla fascia sinistra Ramona Bachmann addomestica il pallone con l’esterno del piede destro. Un morbido «stop a seguire» che accompagna la sfera davanti all’attaccante rossocrociata. L’azione si conclude con un cross. Non accade nulla di che, ma il gesto tecnico è sufficiente per rispondere a coloro che ritengono il calcio femminile «un altro sport». L’avesse compiuto Roberto Baggio, o un’altra divinità del calcio, si sarebbe detto che bastava per giustificare il costo del biglietto.

La Nazionale Svizzera ha concluso agli ottavi di finale il suo percorso mondiale agli antipodi, superata nettamente dalla più quotata Spagna. Era l’obiettivo dichiarato. Alla soddisfazione si mescola il rammarico per non essere riuscite ad arginare meglio l’impeto delle Furie Rosse. Del resto era capitata la stessa cosa in Qatar ai ragazzi di Murat Yakin contro il Portogallo. Sono tuttavia convinto che la rassegna che si sta concludendo in Australia e Nuova Zelanda abbia aperto una nuova via. Per la prima volta i media del globo le hanno dedicato uno spazio degno di una Coppa del Mondo. Per la prima volta l’interesse popolare si è diffuso ovunque. Anche in Svizzera, nonostante le rossocrociate abbiano disputato la prima e l’ultima sfida alle sette del mattino, ora di Berna.

L’interesse nei confronti dell’universo calcistico femminile è stato alimentato anche dai cosiddetti elementi di contorno: interviste a bordo campo, studi sul posto, commenti in sede, servizi di costume, ritratti. Su tutti, il documentario The Pressure Game, prodotto dalla SRG SSR in collaborazione con l’Associazione Svizzera di Football, in cui si racconta l’approccio delle nostre ragazze alla Coppa del mondo, sin dalla fase di qualificazione. Secondo una scelta stilistica collaudata, sul modello di Le Bleu dans les Yeux, che aveva narrato dal cuore dello spogliatoio l’impresa della Nazionale maschile francese alla Coppa del mondo del 1998, gli autori hanno scavato nell’animo delle nostre calciatrici portando le loro storie nelle nostre case. Sia quelle delle star, sia quelle di coloro che non sono riuscite a conquistare il posto nella Selezione.

Sotto i nostri occhi sono sfilate, fra le altre, la blogger e influencer planetaria Alisha Lehmann, la lucida e sorridente capitana Lia Wälti, la bomber Ramona Bachmann con le sue scelte esistenziali che aiutano a scardinare le porte del pregiudizio.

Le cifre della lunga fase a gironi sono da capogiro. In 48 sfide, le tribune sono state popolate da 1 milione e 222mila spettatori. Una media di oltre 25mila a partita. Il 30% in più rispetto all’ultima edizione che si era tenuta in Francia. Cifre che sono lievitate durante la fase a eliminazione diretta e che sono destinate a impennarsi ulteriormente fino alla finalissima in programma domenica prossima. La prevendita dice che globalmente si sfiorerà la soglia dei due milioni di spettatori.

Qualcuno potrà avere la percezione che a volte la società ricorra a delle forzature nel perseguire l’assoluta parità di genere. Opinioni in questo senso giungono sia dall’universo maschile, sia da quello femminile. Tuttavia è fuori di dubbio che la Coppa del Mondo in corso abbia offerto un contributo fondamentale sulla via dell’uguaglianza di trattamento e di genere. Non a caso, media e opinione pubblica hanno stigmatizzato il comportamento di Gianni Infantino. Il Presidente della Fifa, che in Qatar, favorito dalle agevoli condizioni logistiche, aveva seguito tutte le partite della Coppa del Mondo maschile, dopo aver assistito alle prime sfide, se ne era ritornato in Europa. Il numero 1 del calcio si è in seguito imbarcato su un volo che lo ha riportato di nuovo nella mischia. Non saprei dire se questo andirivieni fosse programmato e dettato dalla sua fitta agenda. Ma il fatto che la sua assenza temporanea sia stata mal digerita, la dice lunga su come i tempi stiano cambiando.