Quanta roba, per la miseria, ci ha proposto lo sport di casa nostra nelle ultime settimane e tutta che scivola via davanti al computer, il quale del resto la ignora. A volte le manifestazioni sportive s’ingolfano in un marasma di discipline per tutti i gusti. Le competizioni classiche, ossia i campionati nazionali di hockey soprattutto, sono approdate alle sfide finali, i cosiddetti playoff e playout. Questi ultimi fanno parte purtroppo di un pezzo di storia hockeistica ticinese, quella dell’Ambrì. Il club leventinese ci è cascato molte, perfino troppe, volte. Non c’è però da farne un dramma, perché i limiti della squadra leventinese sono noti da tempo. Se si vuole, i playout sono stati con la loro introduzione una rete di salvataggio per i biancoblù, i quali nell’atto conclusivo hanno dovuto fare i conti negli anni con avversari sempre inferiori, anche se in alcune occasioni certamente pericolosi.
Battuto alla fine in quattro partite (un paio tiratissime) il Langenthal, campione della LNB, l’Ambrì Piotta continuerà anche nella prossima stagione a difendere il suo nome (e il suo posto) nella massima lega, chiusa quest’anno in fondo alla classifica, dopo una lunga serie di gare inguardabili a causa dei chiari limiti palesati da troppi giocatori. Da una parte il Lugano ha destato perplessità durante la regular season, per una lunga serie di motivi: dagli infortuni occorsi a giocatori di buon valore alle prestazioni deludenti in tutti i settori di gioco e, soprattutto, per le scarse prestazioni dei suoi svedesi, incluso troppe volte anche Linus Klasen (il suo uomo di maggior classe, sempre trattato però coi guanti bianchi da gran parte della stampa oltre che dallo staff tecnico). Dall’altra, va detto che per l’Ambrì, nonostante qualche buona prestazione, sul piano dei risultati non s’è mai visto uno spiraglio di luce. Andare a segno è diventato sempre più difficile e questa è una delle principali ragioni per cui il Lugano s’è fermato sul più bello, dopo la sensazionale eliminazione degli ZSC Lions, ed è pure il motivo (non l’unico) che spiega la caduta libera dell’Ambrì. Nella scelta degli stranieri nessuno ha avuto la mano felice.
Fra i bianconeri, il ritorno del canadese Lapierre – noto come difensore «cattivo» però burlone – è stata una mossa lodevole del direttore sportivo luganese Roland Habisreutinger, tant’è che alla fine è stato giustamente festeggiato quale miglior attaccante, grazie al buon intuito del nuovo coach Greg Ireland, sostituto dell’impacciato connazionale Doug Shedden. Tuttavia a dare i veri impulsi alla squadra sono stati due giovani: il portiere Elvis Merzlikins, fenomenale in molte occasioni contro Zurigo e Berna e l’attaccante Luca Fazzini, uno dal sangue freddo ma dalla mano calda che Shedden aveva relegato dapprima nel dimenticatoio. Naturalmente, finché i mille acciacchi collezionati durante un’onorata carriera non lo hanno messo in ginocchio, anche il veterano Julien Vauclair, difensore con spiccate doti offensive, ha contribuito non poco al salto di qualità dei bianconeri nel finale di stagione, concluso con un ennesimo duro colpo rimediato contro il Berna. Mentre lo SC Berna si è imposto facilmente nella serie decisiva della finale contro lo Zugo, riconquistando il titolo vinto un anno fa, in Ticino, sia a nord sia a sud, sono venuti alla ribalta i giovani. Ad Ambrì hanno dato una mano decisiva per la salvezza Christian Stucki, il «razzo» Noele Trisconi, e Roman Hrabec. Una svolta positiva si spera quindi di assicurarla con un’impronta più ticinese, anche con gli stranieri cresciuti nel vivaio biancoblù.
Per questo e altri motivi non meno importanti, il 36enne attaccante Paolo Duca sostituisce Ivano Zanatta nel ruolo di direttore sportivo. Ecco perché, dopo aver raccolto nella porta del Langenthal il disco col quale ha messo al sicuro la vittoria contro i bernesi, Duca aveva in pratica anticipato con quel gesto la fine della sua carriera di giocatore (13 stagioni nell’Ambrì, con esperienze a Zurigo e Zugo). Alla Valascia non si attendono miracoli, ma si vuole prima di tutto evitare un campionato come l’ultimo, puntando sulle conferme dei giovanissimi. Quanto all’allenatore Gordie Dwyer, per l’ex capitano Duca il «salvatore», è per ora soltanto un candidato.
Dai dischi nerissimi dell’hockey ticinese, eccoci al colorato pallone da football che il FC Lugano ha calciato con decisione nelle porte dei suoi tre ultimi avversari salendo al quinto posto in classifica sotto la guida del tecnico italiano Paolo Tramezzani. Una posizione sognata chissà quante volte dal presidente Angelo Renzetti. Il pericolo della retrocessione sembra un ricordo lontano e Renzetti punta ora all’Europa, sempre che i suoi ragazzi non facciano passi indietro. L’attacco si avvale di due campioni per i quali il futuro sarà difficilmente luganese: Ezgjan Alioski, trasformato a Cornaredo da difensore in una delle frecce offensive di sicuro valore e Armando Sadiku, goleador di razza. Ora il presidente Renzetti si attende che il pubblico luganese risponda in maggior numero al richiamo dello stadio di calcio, per vedere all’opera una squadra che può offrire molte soddisfazioni.
Eccoci infine alle palline, quelle da tennis. Sembra che pure loro si siano innamorate di Roger Federer, il quale ha effettuato un rientro spettacolare dopo una pausa servita a rimettersi in sesto. I risultati li conosciamo, a partire dal successo nell’Australian Open. Prima di una nuova pausa concordata con il suo preparatore, Federer ha voluto concedersi un saluto ai suoi tifosi svizzeri, e lo scozzese Andy Murray si è sportivamente prestato per l’incontro–spettacolo dell’Hallenstadion di Zurigo servito per la raccolta di altri soldi destinati dal basilese all’aiuto di ragazzi africani indigenti. Roger, che da tempo versa una parte dei suoi guadagni a questo scopo («sento questa necessità, visto che mia madre è sudafricana e ho vissuto parecchio da ragazzo in quel continente», ha detto il campionissimo della racchetta).
A 35 anni suonati il nostro campione continua a far innamorare di sé non soltanto ragazzine, signore e nonnine, di tutto il mondo, oltre alle palline gialle o bianche citate sopra che lo adorano, nonostante le staffilate che si buscano a ogni partita (a picchiare più forte, ma con un po’ meno di classe, sono però i suoi avversari). A noi non resta che applaudire per le vittorie e l’impegno umanitario di Roger, da anni lo svizzero più popolare in tutto il globo.