Per ora si torna a far vino

/ 24.08.2020
di Ovidio Biffi

È rimasta in secondo piano la schermaglia attorno al prezzo delle uve della prossima vendemmia in Ticino. Si direbbe che sia stata più mediatica che pubblica, visto che alla finestra «a dirsene quattro» si sono affacciati in pochi, per poi arrivare a una intesa che forse non è proprio tale, dato che in parte dipende anche da decisioni del governo e del Gran Consiglio. Per la cronaca, a inizio agosto l’Interprofessione della vite e del vino, che agiva in veste di arbitro, e i rappresentanti di Federviti e Associazione ticinese negozianti di vino hanno raggiunto un accordo sul prezzo base di 4 franchi al kg per le uve Doc merlot e 2 franchi al kg per le uve in esubero (resta infatti in vigore il limite di produzione di 800 grammi di uva per metro quadrato) da destinare a progetti alternativi. Intesa difficile anche perché, come noto, se sul settore vitivinicolo prima c’erano nubi nere (giacenze in aumento) dalla primavera sino all’estate il «lockdown» non ha fatto che peggiorare la situazione con il fermo e la ripresa lenta e parziale dell’industria turistica. Alle iniziali argomentazioni tecniche (estese ad albergatori ed esercenti) si sono così aggiunte anche difficili dissertazioni su scelte politiche tutte da consolidare e su attriti sempre accantonati quando lo smercio era soddisfacente.

In Ticino il vino, il merlot in particolare, nelle nostre discussioni ha ormai un posto simile a quello dell’hockey e del calcio. Così, come un tempo eravamo tutti allenatori ed esperti di tattiche, forti di tradizioni alimentate da una generosa presenza di club nelle varie regioni, oggi siamo un po’ tutti (compresi molti giovani, il che è comunque positivo) sommelier provetti, abilità misurabile più partendo dalla forma «spettacolosa» del bicchiere che si ha in mano che sulla base di una solida cultura del vino. Nessuna polemica: figuro anch’io in questa categoria, nonostante contatti e conoscenze. Conservo ricordi di chi ha scelto e imposto il merlot come «madre» dei nostri vini, a iniziare dai direttori e dai responsabili di enologia dell’istituto di Mezzana. In quasi 60 anni qualche affinamento l’ho poi avuto da magnifici e spesso esaltanti viticoltori del Mendrisiotto; soprattutto dalle vibranti spiegazioni di Cesare Valsangiacomo che, messe a confronto con quelle pacate e serene di fra Corrado, mi hanno consentito di arrivare a capire che i nostri vini, oltre a regalarci profumi e voluttà, sono eccellenti perché riescono a trasmettere in chi li gusta lo stesso amore verso la terra che anche il più umile viticoltore profonde nella cura della vite e delle uve.

Questo mio bagaglio non basta certo come lasciapassare per dissertare sul merlot ticinese o per sindacare sulla «querelle» sul prezzo delle uve della prossima vendemmia. Tanto più che sull’argomento è già intervenuto con la sua collaudata esperienza professionale il direttore dell’Interprofessionale Andrea Conconi. Passando tra i filari delle magagne, in una sorta di «manifesto» Conconi non esita a pizzicare le «cavallette» (viticoltori che in passato consegnavano le uve al miglior offerente), a stigmatizzare i produttori di «vini da garage» (chi vinifica «a parte» per sfuggire a controlli e limitazioni di raccolti) oppure chi già è all’opera per smerciare sul mercato rimanenze o per elemosinare aiuti comunali per poi vendere senza guadagni. Sono alcune delle pecche che hanno confermato al direttore della Interprofessione un’amara constatazione: il viticoltore pensa sempre a quanto avviene durante l’anno viticolo, mai all’anno seguente. Invece, conclude nel suo «manifesto» il direttore Conconi, «se tutti tirassimo il carretto insieme e nella stessa direzione, gli obiettivi sarebbero più raggiungibili. Se quest’anno riusciremo ad avere il sostegno richiesto al Consiglio di Stato per la COVID-19, ricordiamoci di ringraziarlo, poiché in tante regioni d’Europa, dove si parla di 20 centesimi di euro per uve pregiate, la politica non si è ancora mossa a favore del settore primario».

Il nodo gordiano continuerà quindi ad essere quello dei prezzi, scordando che mentre in Ticino si ritireranno uve merlot pregiate a 4 fr. il chilo, in tante regioni vicine, che pure vantano produzioni pregiate, si arriva a un massimo di 1 fr. e 50 centesimi al chilo, dislivello che favorisce importazioni e contingentamenti che «premiano» non solo i privati. Termino con una domanda sui progetti alternativi in attesa dell’avallo politico: si tornerà a proporre un merlot «interprofessionale» o un assemblaggio di battaglia che consenta al settore di ravvivare la fidelizzazione del cliente e di conferire nuovi slanci al merlot ticinese, oppure l’idea resta impraticabile? Lo chiedo perché chiudendo gli occhi riesco ancora a ricordare, soprattutto d’estate, un magnifico assemblaggio di pronta beva, voluto in anno di produzione abbondante dal compianto Sergio Monti, grande e istrionico cultore del vino. Si chiamava «Inoxidable». Inimitabile?