In Svizzera circa la metà dei lavoratori, attivi nei più svariati ambiti professionali, chiede di andare in pensione a 58 anni, e magari prima. È una scelta legittima, sicura, per lo più volontaria, che fa tendenza, e segna addirittura una svolta storica, per un paese che esibiva il proprio stakanovismo, ovviamente in versione democratica: un esempio di benessere e funzionalità, frutto appunto della dedizione dei singoli cittadini, lavoratori accaniti su cui persino si ironizzava. Ora questo modello da imitare sta subendo una smentita che apre interrogativi imbarazzanti. Che ne è deI puntualissimo bancario, dell’imprenditore instancabile, del tecnico innovativo, e via enumerando figure tipiche del Made in Switzerland che cambia connotati generazionali: non è più la prerogativa di anziani, per definizione affidabili. Sempre più spesso, cinquantenni in piena forma abbandonano gli strumenti e i luoghi di una solida quotidianità per affrontare, invece, l’incognita di un futuro diverso e godibile da inventare. Tutto ciò con il consenso familiare e sociale, persino l’invidia, nei confronti di chi osa voltar pagina. Se, fino a qualche decennio fa, si trattava di stravaganti solitari o di cultori dell’esotismo orientale, adesso, effetto ’68, appartengono alla normalità cosiddetta borghese. Del resto, i nostri prepensionati hanno in serbo progetti ragionevoli per un futuro non da sprecare: dedicandosi al volontariato, alla cultura, alla comunità. E, non da ultimo, animati dalla convinzione di contribuire a risolvere il problema dei giovani: via noi, si fa posto a loro. Si tratta di una sostituzione naturale, una sorta di automatismo.
In pratica, le cose non vanno sempre così. Sia perché la partenza dell’anziano non è una sua scelta spontanea bensì un calcolo dell’azienda: il neoassunto costa meno. Sia perché lo scarto generazionale si fa sentire in termini contraddittori: il venticinquenne che arriva non sostituisce il cinquantacinquenne che lascia. Semmai, potrebbero completarsi. Ma avviene raramente. In proposito è rivelatore il caso di Federico Rampini, giornalista e saggista di notorietà mondiale, familiare ai lettori di questo settimanale. La sua firma, per decenni abbinata a «Repubblica», compare, da qualche settimana, sul «Corriere della Sera». Nessun mistero né complotto: semplicemente la data di nascita. Anche per Rampini, a 65 anni, è scattato il pensionamento. Giustificato dalla necessità di «far spazio ai giovani». Immediata la sua replica, senza peli sulla lingua: «Una balla colossale: non esiste una possibile sostituzione fra chi ha alle spalle 40 anni d’esperienza e il neoassunto». Mentre, prosegue, «sarebbe reciprocamente utile, collaborare, scambiarsi punti di vista». E da italo-americano, come gli capita spesso, cita gli USA, dove «più si lavora più si crea ricchezza, per il bene comune».
Sono parole che non piaceranno a tutti, anche dalle nostre parti. La Svizzera sembra in vena, o addirittura in balia, di un revisionismo, che rischia di sostituire la retorica della laboriosità, che però funzionava, con quella di un tempo libero, ancora da creare. Un tranello da cui mette in guardia uno specialista in materia, Hans Jürgen Lambrich, responsabile di scienze della comunicazione all’università di Berlino, e autore di un articolo che s’intitola Solo il buon lavoro rende veramente soddisfatti. Insomma una forma di identificazione con ciò che si fa. Che s’impara a scuola, sulla scorta di competenze, non soltanto cognitive ma concrete e condivise, che implica l’impegno, la costanza, la competizione, termini che, negli ambienti della pedagogia d’avanguardia insospettiscono. Persino l’edificio scolastico dovrebbe contribuire a suscitare piacevolezza, spazi in comune, arredi comodi, che consentono pisolini. È quanto si sta sperimentando in Danimarca e non dispiace a Bellinzona.
Questa divagazione architettonica si riallaccia alla cultura, chiamiamola così, del tempo libero, e al prepensionamento sempre più auspicato. Accelerando una scadenza inevitabile. Anzi una sorta di sentenza cha ha stizzito Rampini. Mentre ha reso felici altri e increduli altri ancora, fra cui la sottoscritta. L’annuncio che dovevo pensare a trovare un sostituto, per raggiunti limiti d’età, era accompagnato da un bel mazzo di fiori. Consolatorio ma esplicito: un capitolo che si chiude.