Pensieri sull’educazione

/ 30.08.2021
di Lina Bertola

«Il mio pensiero non ha cambiato lo spirito del tempo. Nei programmi scolastici non c’è traccia delle mie idee sull’educazione. I pensieri si diffondono come polvere tra le persone che li apprezzano. Quello che desidererei, ma che per ora non è accaduto, è che si arrivasse a comprendere come penso per produrre quei pensieri».

Sono parole di Edgar Morin, pronunciate recentemente in un dialogo con il filosofo Régis Debray, in occasione dei festeggiamenti per i suoi cent’anni.

Con eleganza, ma anche con un velo di rammarico, il filosofo, autore di molti libri tradotti in tante lingue, riconosce che la sua idea di educazione non è riuscita a far breccia nello spirito del tempo. 

Il destino dell’opera di Morin è sintomo di quell’incolmabile distanza che spesso si produce tra lo spirito del mondo, con le sue visioni dentro cui vuole esistere e riprodursi, e visioni-altre che alimentano invece il desiderio di andare oltre: visioni che guidano la nostra immaginazione verso un orizzonte più luminoso e che, nel caso di Morin, ci offrono il significato più vero del conoscere e dell’educarsi. 

Il suo sguardo educativo è sempre stato estraneo a un mondo fatto di cose da conoscere, da fare, da avere e da consumare. Il suo sguardo accoglie tutta la complessità della vita, non si ferma sugli oggetti della conoscenza ma è attento ai soggetti, alle persone, alle relazioni, ai legami tra loro, con la natura e con le cose che la abitano. Su questo sfondo, che illumina gli intrecci dell’esistenza, bisognerebbe imparare a vivere e a pensare, conoscere ed agire, in prima persona e come collettività. Un suo saggio del 2014 si presenta proprio come un manifesto per cambiare l’educazione e porta il titolo Insegnare a vivere.

Ma che cosa significa imparare a vivere? Innanzitutto imparare a comprendere l’incertezza di ogni avventura umana e imparare ad affrontarla, imparando ad attendere l’inatteso. Perché questo inatteso abita sempre la realtà della vita, al di là di ogni illusorio desiderio di poter prevedere e controllare tutto. Imparare a vivere significa imparare ad accogliere ogni apertura sul possibile, a comprendersi e a comprendere la realtà e noi stessi in una prospettiva ecologica, olistica, attenta alla complessità del nostro stare al mondo. Si tratta di un forte messaggio etico circa il compito di prestare attenzione alla buona vita, di prendersene cura. 

Comprendere, insomma, per vivere bene. Questo sguardo ritorna ancora in uno dei suoi saggi più recenti, dedicato all’esperienza estetica. Qui Morin parla della poesia della vita come fioritura, comunione, pienezza. L’esperienza estetica, la percezione della bellezza è un’emozione che alimenta la conoscenza. Siamo migliori nell’esperienza estetica, scrive, perché il meglio di noi stessi si esprime nell’ammirazione e nella meraviglia che ci apre alla vera comprensione, che è espressione preziosa dell’umano, sovente assopita o congelata. 

In questi pensieri è contenuto tutto il valore della cultura umanistica intesa come comprensione riflessiva, come capacità di riflettere sulle nostre conoscenze, quando leggo una poesia e mi emoziono, certo, ma anche quando mi avvicino ad una formula matematica e riesco a capirla. Questa cultura umanistica ci invita ad andare oltre le gabbie riduttive di una razionalità calcolatrice, capace di offrire conoscenze solo quantitative, misurabili e spendibili. Ci invita ad andare oltre per incontrare la bellezza dell’esperienza della conoscenza, la sua gratuità come nutrimento di vite sbocciate, il suo essere pura finalità, comprensione vera che nutre i legami. 

Benché, come lamenta Morin, non sembra che questi pensieri vengano accolti nei programmi scolastici, ho voluto riprenderli per dedicarli, nel giorno di riapertura delle nostre scuole, a tutti i Maestri che rendono la scuola viva, giorno dopo giorno. 

Lo sappiamo bene, oggi l’istituzione scolastica appare sempre più preoccupata di rispondere alle esigenze della società (e del mercato). Sia chiaro, il compito di inserire i giovani nel tessuto sociale ed economico ha ovviamente le sue ottime ragioni. Ma rendere questo compito priorità assoluta significa lasciare sullo sfondo, direi quasi ferire l’anima più vera dell’educazione, quella che custodisce da sempre un progetto di umanità. Educazione è progettualità vissuta, impegno a coltivare il «viaggio verso sé stessi». Questa sua anima può allora esprimersi anche come luogo di resistenza nei confronti delle spinte antieducative che attraversano la società.

Dentro un’istituzione sempre più preoccupata delle griglie orarie e dell’uso didattico delle tecnologie, ancora e sempre il compito di insegnare a vivere bene è affidato alla presenza fondamentale e irrinunciabile dei Maestri.