«Una ferita forse / a malincuore si richiude. // Resta l’onda che viene incontro e torna / a varcar l’orizzonte scintillante / nel cuore ammiccando un vento che chiama / al largo i tuoi pensieri in cerca di una riva».
Per suggerire l’atmosfera e i colori dei miei pensieri di oggi ho scelto questi delicati versi, ancora inediti, del poeta Leopoldo Lonati. Proprio come le vibrazioni di questa poesia, anche i miei pensieri vengono dal mare, parlano di una ferita, e forse cercano al largo una riva. Cicladi, Egeo, alba, acqua limpida e generosa di luce. Riesco finalmente ad accogliere il corpo del mare e a confondervi la soglia e i confini del mio esserci. Da molto tempo non ne trovavo la forza; non trovavo il coraggio di venire qui, a incontrare questa bellezza. Una bellezza per me troppo inquietante che, indifferente al nostro sguardo, continua a inghiottire i sogni di tanti disperati. E quanti sogni in attesa sui fondali di questo mare!
Ora sono qui, a raccontare di questo incontro con la bellezza e a cercare, anche, di dar voce ai sentimenti di inquietudine e di sofferenza che spesso ci abitano mentre attraversiamo le troppe contraddizioni di questo mondo. Sono sentimenti che possono rendere anche l’esperienza della bellezza un’esperienza dolorosa. Sento forte, ancora e sempre, il dolore di troppe anime tradite; sento forte questo silenzio assordante che esce dall’acqua per gridarci la sua tragica verità: con forza la sua voce mi raggiunge, sempre ancora. Eppure la bellezza di quest’alba del mare suscita in me anche una dolce percezione di felicità. Immergersi in queste luci e in queste acque è un’esperienza felice, nel senso più autentico della parola: un espandersi, un fiorire, o forse uno sbocciare altrimenti.
Mi sono concessa questa testimonianza personale perché l’intrecciarsi di emozioni e sentimenti così diversi invita sempre il pensiero a interrogarsi: da questi intrecci tormentati nascono domande che penso tocchino molti di noi. Quando la nostra vita è attraversata anche dalla sofferenza, da un dolore personale o dalla percezione di tante sofferenze attorno a noi, ci viene da chiederci se davvero possiamo accogliere e assaporare questa intima felicità.
Oggi sento, nei pensieri e nelle sensazioni del corpo, territorio infinito dell’anima, che ciò è comunque possibile: sento che la felicità venuta dal mare, la felicità che mi sorprende qui e ora, non appartiene a questo attimo fuggente. Sto sperimentando, in prima persona, un luminoso insegnamento della saggezza degli antichi filosofi, e cioè che la vera felicità non ha dimora in questi attimi, ma si dipana nella trama di un’intera vita, quando è una vita buona. In una vita sbocciata, la felicità abita silenziosa, spesso ospitando anche ombre, difficoltà, nostalgie; accogliendo un nostro intimo dolore o le sofferenze di un modo ferito, di cui ci sentiamo parte. E quando, come nella poesia, la ferita si richiude, riconosciamo nell’attimo la sua voce e possiamo infine ascoltarla. È così che accogliamo la pienezza della vita.
Mi piace pensare che sia questa la vita buona di cui ci parla Aristotele: una vita sbocciata anche nel dare ospitalità alle sofferenze. Una trama intessuta lentamente nei risvolti del nostro vivere che ci accompagna, dall’alba fino al tramonto. Vivere questa esperienza della felicità significa riuscire ad andare oltre l’oblio, la rimozione o il diniego di sofferenze che faremmo troppa fatica a sopportare; significa non concedere nulla al disincanto di chi distoglie lo sguardo dal mondo, da un mondo percepito come presenza ineluttabile su cui non abbiamo nessuna presa. Sperimentare questa felicità che sta sempre altrove, al di là degli attimi del nostro vivere, significa riuscire ad accogliere tutta la bellezza di una natura sempre indifferente al nostro sguardo.
Non ci guarda la natura, ma solo ci offre, per tornare ai versi iniziali, «una riva in alto mare», dove forse un altro sguardo diventa possibile.
Questo sguardo possibile sembra emergere da alcune parole di Christian Bobin, disseminate nel suo splendido L’homme-joie. «Il mondo non è che un campo di battaglia, ci sono cavalieri neri dappertutto; in fondo alle nostre anime risuona il rumore delle spade. Ma questo non ha alcuna importanza. Sono passato vicino ad uno stagno», racconta, «coperto di lentiggini d’acqua: questo sì che è importante. Noi massacriamo tutta la dolcezza della vita e lei ritorna sempre». E aggiunge: «c’è una vita che non si arresta mai, una vita che non riusciamo a cogliere perché solo raramente sappiamo essere alla sua altezza».