Pendolarismo ad una svolta

/ 21.02.2022
di Angelo Rossi

I pendolari sono quei lavoratori che svolgono la loro attività lavorativa in un comune diverso da quello nel quale sono domiciliati. Con il diffondersi della motorizzazione privata, a partire dall’inizio degli anni Cinquanta dello scorso secolo, l’importanza dei loro flussi non ha fatto che aumentare. Detto questo occorre precisare che i flussi in questione concernono solamente i lavoratori domiciliati in Svizzera. I frontalieri che, oggi, rappresentano di fatto la componente più importante del pendolarismo, vengono, nelle statistiche, considerati a parte. Difficile quindi farsi un’idea precisa del numero di lavoratori che giornalmente lasciano il proprio comune, nel cantone, in un altro cantone o in un comune della fascia di frontiera italiana, per andare a lavorare in un altro comune del canton Ticino.

Difficile? Non proprio. Per farsi un’idea della consistenza di questi flussi basta in effetti percorrere una strada del Sottoceneri o salire su un treno suburbano che congiunge il Sottoceneri con il Sopraceneri in un’ora di punta. Sappiamo che il pendolarismo è una delle pratiche che generano i maggiori costi sociali nel cantone. Questi vengono misurati come ore di lavoro andate perse che i pendolari, a causa delle difficoltà del trasporto, accumulano, all’andata, nel corso dell’anno, o delle ore di tempo libero che gli stessi perdono, al ritorno, per la stessa ragione. Agli stessi occorrerebbe aggiungere anche i costi generati dalle immissioni provocate dal traffico di automobili.

Nel corso degli ultimi anni sembra che la tendenza all’aumento della quota di pendolari nel totale degli occupati si sia bloccata. La pandemia del Covid 19 potrebbe addirittura aver avviato un processo di riduzione della stessa. Questo almeno se le opinioni che emergono da ricerche svolte recentemente dovessero affermarsi anche tra gli impiegati del settore terziario del nostro cantone. Per esempio un’inchiesta tra gli impiegati, svolta da Mc Kinsey nel gennaio del 2021, a livello mondiale, ha messo in luce un vero cambiamento di opinione. Prima della pandemia di Covid il 62% degli impiegati interrogati si erano espressi per un esercizio della loro attività nell’azienda che li impiegava e solo l’8% per lavorare a casa. Dopo l’inizio della pandemia, quando quasi tutti gli interrogati avevano potuto fare almeno una breve esperienza di «home-office», la quota di coloro che continuavano ad esprimersi per esercitare la loro attività in azienda era scesa al 37%, mentre quella di coloro che volentieri avrebbero continuato a lavorare a casa era salita al 17%. Il terzo gruppo di partecipanti all’inchiesta si era espresso per un’attività mista, in azienda e a domicilio. Notiamo che, dopo l’inizio della pandemia, questo gruppo era diventato maggioritario. La sua quota era infatti salita dal 30 al 52%. Ovviamente ci si può chiedere se questo cambiamento continuerà a manifestarsi anche una volta che la pandemia sarà terminata. Gli esperti pensano di si. È tuttavia evidente che l’evoluzione del lavoro a domicilio dipenderà largamente anche dall’opinione dei responsabili delle aziende.

Ora, in una seconda inchiesta, del maggio del 2021, Mc Kinsey è proprio andato a chiedere l’opinione dei capi-azienda. A loro è stato chiesto quale poteva essere la durata ideale della presenza degli impiegati in azienda. L’interrogato poteva scegliere tra una delle seguenti tre varianti: 2, 3, 4 o più giorni. Mentre prima della pandemia i capi-azienda si pronunciavano, in modo quasi unanime, per una settimana di lavoro in azienda (92% del campione), dopo l’inizio della stessa questa quota era calata al 52%. Un po’ più di un terzo dei capi-azienda (36%) poteva ora concepire di ridurre la presenza degli impiegati in azienda a 3 giorni. Un 12% accettava addirittura una presenza di soli 2 giorni in azienda. Difficile dire quali sono i fattori che possono influire sull’opinione degli impiegati e dei capi-azienda rispetto alla presenza in ufficio o al lavoro a casa. Secondo noi, tuttavia, uno di questi fattori potrebbe essere però la durata del trasferimento tra casa e posto di lavoro. In paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti dove percorsi pendolari della durata di due e più ore non sono rari è probabile che la quota dei pendolari e anche dei capi-azienda che si esprimono per lo «home-office» sia nettamente più elevata che in paesi come la Svizzera dove la durata del percorso dei pendolari non supera, di solito, i 30 minuti.