Visto che aziende e servizi pubblici aggiornano e perfezionano costantemente i sistemi di interazione con la propria clientela, a noi utenti della burocrazia digitale non resta che adattarci e, a volte, soffrire un po’. Ne abbiamo già parlato. Uno degli esempi più concreti in questo contesto è la nuova procedura che riguarda i bollettini di pagamento «bianchi». Alla fine, credo che tutti se ne siano accorti, le cose non sono poi molto diverse da prima. Di fatto, tutto l’esercizio è servito sostanzialmente a convincere (costringere?) gli utenti a modificare le proprie abitudini, indirizzandosi verso la modalità di pagamento digitale, da PC o da smartphone. Ci torna in mente l’affermazione di qualche anno fa del nostro precedente caporedattore, il quale, diffidando dei primissimi servizi di pagamento online diceva qualcosa del tipo: «A me piace ancora andare alla Posta e sentire il tu-tum del timbro sulla cedola…». Anche lui avrà dovuto convertirsi: il rumore più frequente che capita di sentire mentre si affrontano le incombenze di questo tipo è oggi il «cli-click» della fotocamera, sul telefono o sul pc, con cui si inquadra il fantomatico QR code.
Cercando di intuire il perché dell’introduzione della nuova procedura, sembra di capire che è stata pensata per semplificare il lavoro dell’utente. Avere a che fare con comodi e compatti quadrettini grafici i quali, una volta inquadrati dallo smartphone o dal lettore ottico collegato al computer, possono riportare automaticamente tutte le informazioni necessarie a definire gli estremi del pagamento da effettuare, è apparentemente una semplificazione e una velocizzazione del processo. Di fatto, dopo aver effettuato un test d’uso su alcuni sistemi di e-banking, compreso naturalmente quello ufficiale di Postfinance, e su vari tipi di sistemi di accesso, via smartphone e via computer portatile, l’impressione di fondo è che il nuovo protocollo sia stato pensato proprio per gli smartphone.
Si tratta, allo stesso tempo, di una buona e di una cattiva notizia. La transizione degli utenti digitali dal computer al telefono cellulare (sempre che lo si possa ancora considerare un telefono…) è una tendenza inequivocabile. Il nostro smartphone «siamo noi»: grazie a quello la tecnologia si è fatta parte complementare della nostra realtà fisica e psicologica. E se da un lato ciò mette a nostra disposizione risorse e tecniche di grande utilità e potenza, al contempo, ci espone a un rischio. Mantenere in un oggetto piccolo, precario e deperibile le proprie fotografie, la posta elettronica, i messaggi delle chat, l’abbonamento ai mezzi pubblici, le fatture del dentista, la propria musica preferita, il collegamento con il sistema televisivo digitale, il sistema di pagamenti e l’accesso ai propri conti bancari non è poi sempre così sensato e comodo. Senza contare che in caso di smarrimento o di furto del telefono tutto quello che siamo può essere facilmente accessibile da estranei (per i malintenzionati la password di apertura non è così difficile da aggirare). Quindi il nostro consiglio è di mantenere separate vita telefonica e questioni finanziarie, utilizzando per queste ultime un normale computer di casa.
C’è un altro aspetto, che tocca marginalmente questa innovazione e riguarda più da vicino proprio la necessità di dotarsi di un accesso digitale ai servizi di pagamento. L’abbiamo notato scaricando sul cellulare l’app apposita (si scusi il bisticcio) di un istituto finanziario, app con la quale effettuare i pagamenti nella nuova modalità. Le istruzioni per lo scaricamento riportano il seguente disclaimer: «Privacy dell’App: lo sviluppatore (…) ha indicato che le procedure per la tutela della Privacy dell’app potrebbero includere il trattamento dei dati descritti di seguito. I seguenti dati possono essere raccolti e collegati alla tua identità: informazioni finanziarie; identificativi; dati sull’utilizzo, diagnosi».