Patriottismo à la carte

/ 30.07.2018
di Luciana Caglio

Bestia nera del Sessantotto, la parola è ormai riabilitata: il patriottismo, infatti, va alla grande. Definisce sentimenti e comportamenti che hanno ritrovato non soltanto il consenso popolare ma, addirittura, una legittimazione politica, animando partiti e movimenti di successo, sul piano mondiale, Svizzera compresa, e Ticino in particolare. Anche nel nostro Cantone, il patriottismo è in auge, e con caratteristiche proprie, evidentemente ispirate al fenomeno delle «piccole patrie», sia pure in forma moderata, al riparo da derive indipendentiste, tipo Catalogna o Scozia. Sta di fatto che il ticinesismo, a volte, sembra prevalere sull’elvetismo, producendo un patriottismo casalingo, spontaneo, persino simpatico. Esprime un bisogno primario di appartenenza a quel dove, in cui ci si sente a proprio agio e al sicuro, per via naturale. E che, quindi, va protetto e difeso da minacce e contaminazioni, magari più immaginarie che reali, comunque provenienti da fuori.

È , a questo punto, che la purezza di un sentimento istintivo s’incrina. E allora il patriottismo rivela un’altra faccia, astiosa. Cioè, non si ama il luogo d’appartenenza per le sue virtù, bensì in contrapposizione ai vizi altrui. Parliamoci chiaro: ad alimentare l’affetto e la stima per il nostro Cantone e per la Confederazione interviene il disprezzo per ciò che avviene oltre frontiera. Servizi pubblici che non funzionano, territorio trascurato, corruzione diffusa, e via enumerando malefatte e disagi, da cui ci si sente al riparo. Insomma, salta fuori l’inconfessabile sentimento che si chiama «Schadenfreude», la gioia maligna per i guai degli altri. E che, come ticinesi, ricaviamo osservando, da vicino, un’Italia fonte inesauribile di confronti a nostro favore, almeno sul piano politico ed economico. Mentre, su quello umano, il rapporto sarebbe magari da rovesciare.

Certo è che proprio nelle «piccole patrie», nate come reazione al dominio dei grandi poteri, questo patriottismo, più «anti» che «pro», ha trovato il terreno in cui crescere, ma poi, strada facendo, deteriorarsi. Il tema dell’identità si è trasformato in «una fissazione ossessi va», per dirla con Zymunt Baumann che, nel saggio Retrotopia (Laterza), denuncia le insidie di un cammino a ritroso nel tempo. È «il ritorno alle tribù», che va di pari passo con la nostalgia, la riscoperta delle radici, il ripristino delle buone cose di una volta, da condividere fra consimili, chiusi in un guscio privilegiato. E, soprattutto, illusorio.

Perché, intanto, le cose vanno in tutt’altra direzione, modificando abitudini e sentimenti. A cominciare dal patriottismo, tornato di moda, ma in forme fino, a ieri, insospettabili. Uno ieri rivelato, una giornata di luglio, durante la partita Svizzera-Serbia, quando due giocatori della nostra nazionale hanno espresso la loro gioia, con un gesto, per noi incomprensibile: le mani a ventaglio per indicare le ali di un’aquila, simbolo dell’Albania, loro terra d’origine. E, in pari tempo, fieri della cittadinanza elvetica, a cui devono notorietà e soldi. Un caso chiacchierato, ma non isolato. Anzi.

La doppia cittadinanza è ormai una situazione legittima, sempre più diffusa. In termini statistici indica una tendenza vincente, addirittura trionfante: Der Siegeszug der Doppelbtirger, come titolava, giorni fa, la «Neue Zürcher Zeitung», un commento dedicato al fenomeno. Sono oltre 900’000, il 17,3% della popolazione, i confederati con due passaporti. Fra i quali, cittadini con cariche ufficiali, come diversi ambasciatori. E lo era il nostro Cassis che, candidandosi per Consiglio federale, rinunciò alla cittadinanza italiana.

Non si tratta, comunque, di una prerogativa elvetica, introdotta nel 1992, bensì di una regola che vige nella maggior parte dei paesi dell’UE , destinata, intenzionalmente, a creare una nuova concezione di patriottismo: in grado di sottrarre questo sentimento a manipolazioni persino assurde. Nel 1992, all’Expo di Siviglia il padiglione elvetico si presentò con il motto provocatore: «La Svizzera non esiste». Fu un flop totale, il ridicolo può essere micidiale. Adesso, c’è da sperare che, complice la rinascita del patriottismo, non abbia il sopravvento l’immagine autocompiaciuta di una Svizzera-di-soli-noi, irrealistica, e ridicola.