Così il Poeta nell’incipit di uno dei poemi meteo più celebrati della letteratura in idioma italiano.
E «passata è la tempesta» sembrano cantare (pur con qualche importante ed autorevole riserva) i sessanta e rotti milioni di italofoni cisalpini emersi da qualche settimana dai luoghi serrati ed angusti dove li aveva costretti la crisi COVID-19. CR 7 è tornato in campo, ha ripreso a segnare e farci sognare e dunque è lui di nuovo la sigla sulla bocca di tutti, testa coronata dello sport nazionale di fronte al quale anche il coronatovirus deve inchinarsi. Ed è poi di oggi, 23 luglio, la notizia secondo la quale il Governo non intende estendere lo stato d’emergenza oltre il 31 luglio. Bene. Bravi. Ancora. Questo il coro di un paese che sembra(va?) aver ritrovato nelle settimane quarantenali una sorta di – paradossale a queste latitudini – (con)senso civico oggi ribadito da un indice di gradimento e consenso attorno alla persona del Primo Ministro assestato su livelli che, fatte le debite proporzioni, per l’Italia si potrebbe definire Bulgaro. Astutissimo peraltro il Nostro a pilotare la nave nella procella: aveva dapprima annunciato di voler estendere – ahimè ci tocca anche se non vorremmo – le misure restrittive proprie dello stato d’emergenza fino al 31 dicembre.
Al plauso di consiglieri scientifici prudentisti di ogni ordine e grado assurti oggi al rango di popstar si era subito opposto lo schieramento dei virologi del laissez-faire biologico. Alla veemenza dell’attacco antigovernativo da parte dei legionari di prima linea faceva ancora una volta da rincalzo la riserva dei veterani dei partiti d’opposizione forti delle opinioni di quei filosofi e maîtres à penser alcuni dei quali hanno perso un’ottima occasione per tacere. Se i primi annunciavano che – come Dio – anche il Virus è morto, i secondi denunciavano la deriva medico-dittatoriale di una politica governativa divenuta autoritaria biopolitica liberticida a bordate di citazioni di Ivan Illich, Michel Foucault ed eponimi a volte, in fede, un poco ardite. Bene. Il Pinocchietto Nazionale ha lasciato galli e galline cantare bello chiaro senza darsi pena di replicare in quanto in tutt’altre faccende affaccendato. Tornato dai negoziati europei con 290 miliardi di buone ragioni per zittire quei sovranisti che fino all’ultimo avevano sperato in un fallimento, e tornato perdipiù in apparente ottima forma nonostante le notti insonni d’alterco coi Batavi, è passato al contrattacco con la mossa del cavallo. Tiè: questi sono i soldi e per giunta il 31 luglio ti revoco lo stato d’emergenza. Così Conte Giuseppe, giurista e docente universitario, senza partito. Il ragazzo ha imparato in fretta: dacchè sembrava un Pinocchio ingrullito fra il Gatto Di Maio e la Volpe Salvini ai tempi del suo primo governo ha messo tutti a sedere e oggi se la può godere. Per un po’.
Passata è la tempesta, dunque? Un corno. Intanto la mossa di Conte rischia di rivelarsi un boomerang. La sua controparte d’opposizione, Zaia Luca, popolarissimo governatore del Veneto in quota Lega, ha appena rotto con Crisanti Andrea, superstar genetista planetaria. Eletto Consigliere Scientifico del Doge, lo aveva rimesso in carreggiata dopo le del Doge stesso prime sbandate negazioniste della gravità della situazione in Veneto. Emerso come modello di gestione del carognavirus basata sul rigore, forse (o così dicono i maligni) chiamato a far qualcosa per differenziarsi dalle politiche governative dal Capo della Lega preoccupato anche della irresistibile ascesa nei sondaggi del luogotenente produttore di Prosecco, il Governatore ha lascato le politiche regionali al punto da far dimettere dalla carica i suo salvatore: «Io con chi sostiene che il virus è morto non ci sto». E Crisanti è uscito sbattendo la porta in nome della Scienza.
Intanto il Paese, diciamo pure la verità, si è un po’ sbracato. Movide, discoteche stracolme, passeggiate a mare come torrenti in piena, risse fra adolescenti dagli ormoni fuori giri fra uno sprizzone ed un’ammiccata di troppo alla druda del vicino, assembramenti non autorizzati, spiagge domenicali come formicai… solo a Messa, sconsolatamente annota l’Altropologo, si indossa la mascherina e si rispetta (espressione sciaguratissima) la «distanza sociale» – ma questo perché non c’è nessuno da distanziare…
Ma come?! Non si scriveva ai tempi della serrata che le cose non sarebbero mai più state le stesse? Che avremmo imparato ad ubbidire al Governo, a rispettare decreti e istituzioni – ed anche a essere gentili con la natura, le vecchiette, i cagnolini e pure gli squali? Che oltre ad un New Deal economico impostato su sobrietà, saggezza e risparmio avremmo riciclato anche il riciclo? «Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa…» così salmodiavano i Flagellanti ai tempi della Peste Nera. «Non peccheremo mai più. Libera nos Domine et miserere!». Da Fedro in poi, passata la Festa i Santi restano gabbati. E comunque – da italiano cisalpino – Viva l’Itaglia!