Ci sono notizie apparentemente innocue nella loro neutralità le quali invece si rivelano tali non essere una volta poste sotto osservazione della lente altropologica. In particolare ha suscitato un certo sconcerto, almeno da questa parte delle Alpi, la decisione del Sindaco di New York di procedere comunque col party cittadino di Halloween a distanza di poche ore dall’ultima strage terroristica che ha colpito la metropoli simbolo dell’Occidente industrializzato. La decisione è stata giustificata col fatto che non si voleva «darla vinta» a chi intende imporre una sorta di regime di coprifuoco e consegnare le città all’emergenza costante. Questo ci può anche stare, diciamo, ma è la natura stessa della celebrazione in questione, al di là del valore intrinseco del gesto di sfida al terrore, a richiedere una pausa di riflessione. Andiamo con ordine.
La festa di Halloween, così come la conosciamo oggi, è l’ultima metamorfosi di forme di simbolismo che ci portano indietro nel tempo fino almeno all’Età del Bronzo. Erano infatti quella congerie di etnie e popoli uniti da idiomi simili e da una cultura materiale abbastanza uniforme che oggi chiamiamo «Celti» a celebrare la fine del raccolto il primo di Novembre. Con la festa di Simhein si inaugurava allo stesso tempo il Nuovo Anno. Il periodo che vedeva il nuovo inizio dell’anno agricolo coincideva con la celebrazione dei defunti, o meglio degli Antenati che, si riteneva, favorivano la crescita dei raccolti dalle loro misteriose dimore sotterranee. Alle offerte delle primizie del raccolto in cerimomie che sarebbero poi diventate le Feste del Ringraziamento della tradizione cristiana si accompagnava la credenza del ritorno notturno dei morti, spesso impersonati da bambini questuanti in quanto si riteneva che questi fossero i morti reincarnati.
Fast forward: con il cristianesimo divenuto religione dominante, il primo giorno di Novembre venne dedicato alla celebrazione dei Santi ritenendo così in qualche modo il significato culturale della festa. Si riteneva infatti che tutti i membri battezzati della comunità dei credenti fossero automaticamente da annoverarsi fra i salvati, e dunque fra i Santi. Ma con l’avvicinarsi del Millennio cominciarono i tempi duri. Con l’allentarsi delle severe condizioni di rinuncia e sacrificio alle quali si chiedeva ai credenti di attenersi cominciò più di un dubbio sulla salvezza universale dei credenti. E allora si inventò il Purgatorio, trovata geniale per la quale si instaurava un rapporto diretto coi defunti che venivano a dipendere sempre più dalle preghiere dei viventi ai fini di raggiungere la salvezza eterna. Cominciò così quel mercato delle indulgenze che avrebbe poi scatenato l’ira di Lutero. Fu così che l’Abate di Cluny Odilone si guadagnò la santità inaugurando la Commemorazione dei Defunti separandola dalla Festa di Ognissanti: era nato il 2 Novembre e si era nell’anno 998.
Nuovo fast forward. Trasportato verosimilmente dagli emigrati irlandesi di cultura celtica nel Nuovo Mondo e progressivamente spogliato, per così dire, del contenuto originale, Holloween (che altro non è che Holy Evening, La Santa Notte) finisce per diventare la notte degli Zombi. Questi ultimi, peraltro, coi morti non c’entrano un gran che. O per lo meno coi morti così come li intendevano tanto i Celti quanto il santo abate di Cluny. I morti di allora erano benevoli e protettivi, ricambiavano con dieci, cento volte tanto quanto ricevevano. Certo ben altro comportamento del ricattatorio «dolcetto/scherzetto» di un’industria culturale che sembra incapace di riflettere i valori profondi della cultura popolare per passare prima tutto nel tritacarne mediatico e poi sfornare prodotti scadenti «usa e getta» per un pubblico infantilizzato. E è questo precisamente il punto. La cultura di massa globale, che è ben altro dalla cultura popolare di cui sopra, produce e riproduce appetiti che soddisfano a buon mercato quella che in queste pagine e stata più volte (s)qualificata come una sorta di «voglia di paura», quella la stessa che i bambini (ma certo per ragioni ben più legittime e pedagogicamente valide) esercitano nei loro giochi. In un pubblico di adulti la voglia di paura prende la forma di frisson proiettati poi nei programmi TV sugli eroi che maneggiano i serpenti velenosi, tormentano impuniti squali e coccodrilli, praticano sport estremi per pericolosità (e idiozia, aggiunge l’altropologo) e godono, per tornare a noi, a farsi buh! travestiti da zombi e da streghe di Halloween: che bello aver paura (che tanto non succede nulla)!
È stato detto da antropologi e storici, da Philippe Aries a Maurice Bloch, che la modernità ha nascosto la morte medicalizzandola da un lato e chiudendo le porte sul problema del «cosa succede dopo» dall’altro. La crescente richiesta della morte indotta medicalmente «come scelta di vita» potrebbe sembrare paradossale se non fosse che si inserisce in una logica «negazionista» più generale. Ma questo non è , si badi, soltanto il risultato della cosiddetta secolarizzazione, quanto piuttosto l’approdo ultimo di una forma di civilizzazione che guarda all’orrore ed alla morte come liturgia e spettacolo mediatico. E così celebra l’esorcismo. Festeggiare vestiti da vampiri, cadaveri putrescenti e quant’altro di orrido ci si possa mettere addosso all’indomani di una strage vera non è soltanto offensivo nei confronti dei morti, veri. È soprattutto esercizio sciocco e immaturo di adulti distratti ed annoiati. Kyrie eleison.