Partire si deve: ma come e con chi?

/ 21.08.2017
di Luciana Caglio

Proprio si deve. Una volta ancora, il Ferragosto ha confermato, visibilmente, quanto sia rispettata la parola d’ordine di una data, ormai simbolica: andare in vacanza è un dovere. Stiamo, infatti, assistendo a un’evoluzione addirittura paradossale. Un diritto irrinunciabile, le ferie aziendali pagate, che aveva segnato la storia della nostra socialità, è sfociato in una deriva in senso opposto. All’aspetto liberatorio di una conquista, d’ordine politico e ideologico, che offriva un tempo destinato al meritato riposo, si contrappone, adesso, quello di un tempo da dedicare, invece, alle innumerevoli attività, con cui riempire un vuoto: considerato inaccettabile. Tutto ciò sul filo di un percorso logico. Mentre si allungavano i congedi retribuiti (passati, per la mia generazione, da due a cinque settimane), cresceva l’epoca degli spostamenti facili e persino obbligati, con effetti rilevanti sia sulle abitudini e sulle mentalità individuali sia dell’economia e persino della morale. Promosso a tema centrale, il turismo rivelava promesse e incognite. Nuove professioni, scambi culturali, una forma virtuosa di apertura alle diversità o piuttosto un condizionamento consumistico assurdo, per non dire umiliante?

In quest’estate ’17, il turismo ha avuto gli onori delle cronache, si fa per dire. In realtà, i media ne hanno illustrato soprattutto gli aspetti negativi, registrando addirittura il fenomeno dell’antiturismo, che la dice lunga su inattesi umori popolari. Ma come in ogni movimento d’opposizione, anche qui lo snobismo ha la sua parte. L’immagine del branco, che segue la guida con l’ombrellino aperto, in piazza San Marco, si presta all’ironia, però scontata. Al pari del commento, firmato da un intellettuale di fama, che esalta il fascino della città deserta, privilegio dei pochi rimasti a casa. Riemerge così l’interrogativo di fondo: la vacanza comporta necessariamente una partenza?

In proposito, le opinioni continuano a essere divise, anche fra gli addetti ai lavori. Nel delizioso saggio Idées reçues, l’antropologo Jean Didier Urbain smentisce che «essere in vacanza significhi necessariamente partire. Definisce, invece, un tempo vacante, un vacuum, di cui disporre liberamente». Ma, oggi, è un’arte andata persa. E, allora, si ricorre al viaggio, come rimedio. Un ambito in grado di offrire non soltanto un sostegno materiale, di tipo organizzativo e logistico, ma anche di tipo psicologico e affettivo. Nei confronti, in particolare, della solitudine, condizione frequente nella nostra società, di famiglie piccole, di singles, di culto dell’indipendenza. La vacanza rischia, infatti, di esasperare disagi, tenuti a bada nella quotidianità lavorativa. Basti pensare al momento topico della cena, da soli, in albergo, rievocato emblematicamente nella rubrica viaggi della «NZZ», sotto il titolo Ferien ohne die andern (Vacanze senza gli altri).

Insomma, andare o non andare, da soli o in compagnia, con un itinerario preciso o da inventare? Abbiamo girato le domande a Werner Kropik «viaggiatore» qualificato, ben noto al nostro pubblico, come autore di filmati capaci di trasmettere conoscenze ed emozioni, filtrate da un amabile umorismo, di marca viennese. Lo incontriamo, reduce da un viaggio in Pakistan, dov’era tornato, dopo 18 anni, e pronto a partire per la Mongolia. «Partire – dice subito senza esitazione – è un’esigenza spontanea, la curiosità di vedere quel che c’è dietro la collina». Nel suo caso, niente da spartir con un eventuale rifiuto nei confronti della sua quotidianità, vissuta serenamente a Lugano, in un Ticino, percorso in lungo e in largo, e dove ha messo radici. «Però, matura anche il bisogno di sottrarsi al tran-tran». Per spirito d’avventura o programmando? «Le due cose coincidono, il viaggiatore deve adeguarsi a situazioni imprevedibili, seguendo però un obiettivo, che è il frutto di preparazione e in pari tempo di passione per l’ignoto».

Werner non parte da solo. «In due, si riesce ad affrontare anche i momenti critici, aiutandosi a vicenda, imparando a condividere. Nel prossimo viaggio in Mongolia, avrò al mio fianco la fotografa Alessandra Meniconzi. E laggiù entreremo a contatto con l’associazione Arcobaleno, creata da Alex Pedrazzini». Come dire che, oggi, i legami fra luoghi lontani s’intrecciano.