Assolutamente sì, assolutamente no, attimino, siliconata, chattare, resilienza, sfigato, ecc.: è soltanto un minuscolo campionario di espressioni e parole, ormai correnti nel linguaggio comune, ma esempi di cattivo italiano, e quindi da evitare, per gli addetti ai lavori. I quali, però, almeno in parte, dovevano poi ricredersi. Parecchi di questi neologismi, di origine popolare e informatica, figurano, adesso, nei vocabolari, fra cui lo Zingarelli che, nel 2017 compie cent’anni. In questo secolo si è trovato sommerso da una valanga di nuovi termini, complessivamente 30mila: imposti dall’attualità, attraverso i tanti canali della politica, della pubblicità, dello sport, dove l’inglese ormai la fa da padrone. Allora che fare: accoglierli, assimilarli o respingerli?
Qui si apre un grande spazio d’intervento per i linguisti, messi più che mai alla prova. Vita difficile, anche la loro, ma non per via della crisi. Anzi. Non gli manca il lavoro e neppure una certa popolarità. La filologia, sia pure in forma agevolata, conquista terreno, animando persino quiz televisivi. Con ciò, i giudici del lessico si trovano alle prese con una materia prima inafferrabile, qual è il linguaggio contemporaneo, esposto incessantemente a cambiamenti e a contaminazioni. E, non da ultimo, come custodi del nostro patrimonio linguistico, devono tener conto del clima politico, culturale persino morale del momento, che, in definitiva, ha effetti condizionanti. Esistono, insomma, parole di destra o di sinistra. In proposito, ci furono, tuttavia, epoche ben peggiori. Basti pensare agli anni ’30 quando il fascismo decise di combattere gli esotismi imponendo italianismi grotteschi: corpetto o farsetto invece di pullover, pallacorda invece di tennis, e nessuna traduzione per flirt: «un diporto estraneo ai noi focosi latini».
Oggi, fortunatamente alle nostre latitudini, la censura ha ceduto il posto alla tolleranza, come dimostrano i vocabolari che, negli ultimi anni, hanno accolto parole sdoganate dall’uso. Proprio perché appartengono alla parlata, e persino alla scrittura quotidiane, si sono meritate questa promozione ufficiale. Nelle pagine di dizionari, enciclopedie, come su internet, figurano tangentopoli, inciucio, gratta e vinci, selfie, pillolo (al maschile), cucchiaio attribuito a Totti, e, i più recenti stepchild adoption e foreign fighter. Come dire, ha avuto la meglio la corrente riformista che apre democraticamente le porte a neologismi e anglismi.
Non mancano, però, le voci di suono opposto. E non soltanto da parte di rigorosi conservatori (com’era il nostro Aldo Fraccaroli) sempre cauti nei confronti del nuovo. Ma anche fra gli stessi linguisti aggiornati, fra i giornalisti come pure nel popolo dei lettori, cioè gente allenata al contatto con le parole, si registra una certa resistenza a neologismi che, a volte, si rivelano inconsistenti, collegati a mode effimere. Spazzati via da un’ondata successiva di altre espressioni provvisorie, e ormai pezzi da musei, confinati nei dizionari della neologia anni 80/90: capellone, paninaro, cicciolinesco, compact cassette, gufata, bestiale (in senso positivo), cattosocomunista, cipputi, cuccare, duraniano (fan dei Duran Duran), ripilare, videòmane, e via enumerando parole che, per i giovani d’oggi, sono tabù. Come, del resto, lo sarà, forse già domani, influencer, che ha dominato l’estate ’17 dei giovani. Difficile, invece, prevedere la sorte di «ciofeca», neologismo nostrano e tuttavia dal significato oscuro. Intanto, hanno preso quota bicycle sharing e dog sitter, che definiscono mode sempre più diffuse.
Impossibile concludere senza citare la parola che sta imperversando, nelle ultime settimane. Si tratta, ovviamente, di molestia, che non è certo un neologismo, bensì un termine ormai a senso unico, non più sinonimo di un semplice disagio che disturbava o irritava. Oggi ha assunto un’accezione pesante di reato, e si applica a un’infinità di casi, tanto da diventare un fenomeno che si allarga attraverso un’operazione di denuncia che non risparmia nessuno. Non solo Hollywood, capitale del cinema, ma anche il Vaticano, il governo inglese, e poi luoghi anonimi, come uffici, fabbriche, palestre dovevano rivelarsi trappole insidiose. Le statistiche registrano dati allarmanti: una donna su sei è stata vittima di stalking. È giusto reagire. Ma c’è il pericolo che la stessa attualità, che ha portato alla luce tanti abusi, adesso, tradisca una buona causa, con l’eccesso.