Tempo fa la la SRG-SSR ha perso i diritti per la diffusione delle partite del nostro campionato di hockey. Mi ha intenerito la risposta della TV di Stato che poco dopo ha comunicato il prolungamento, e il potenziamento del contratto per la diffusione delle partite del nostro campionato femminile di calcio.
Fra le righe, infatti, si leggeva una maxidose di imbarazzo. Agli occhi del tifoso non c’è partita. Vuoi mettere un derby tra Ambrì e Lugano, o una finale dei play-off? Eppure lo sport femminile avanza. Anno dopo anno. E lo fa in barba a quei «machi» conservatori, che sfottono se sui social ti azzardi a dire che hai apprezzato la finale della Champions femminile. Forse anche noi, in Svizzera, non vogliamo capire che il mondo dello sport sta cambiando.
E se, tutto sommato, in sport individuali come atletica leggera, tennis e sci, la parità di genere, così come quella salariale, è un concetto più o meno acquisito, sono proprio gli sport di squadra a fungere da spartiacque. Almeno da noi, in Svizzera. Nel 2019, l’ultima finale della Coppa del mondo femminile – USA-Olanda – fu seguita sulle tribune da 57’920 spettatori. Arbitra la signora Stéphanie Frappard. La stessa che ha debuttato con autorevolezza e credibilità anche nella Champions maschile, e che la FIFA ha convocato per la Coppa del Mondo maschile, il prossimo autunno in Qatar.
Quest’anno, nello Juventus Stadium di Torino, 32’257 appassionate/i hanno salutato il ritorno al successo in Champions dell’Olympic Lione sul Barcellona. Anche in quella circostanza a dirigere la contesa c’era una donna, la finlandese Lina Lehtovaara. Da noi, l’appassionante finale dei play-off, vinta dallo Zurigo sul Servette, ha visto una modesta cornice di 2642 spettatori persi in un impianto che ne può ospitare dieci volte tanti. In compenso l’Associazione Svizzera di Football ha annunciato un’ incoraggiante novità: da subito, alle grandi manifestazioni internazionali, ai rossocrociati e alle rossocrociate verrà corrisposto lo stesso premio in denaro.
Forse le vicende contrattuali della SRG-SSR ci indurranno a fare di necessità virtù. Ad apprezzare quindi uno spettacolo che a volte non ha nulla da invidiare al tiki-taka spocchioso e noioso di alcune squadre maschili. Sul piano tattico non c’è un grande gap da colmare. È solo una questione di finezze. Tecnicamente poi, in tutta franchezza, non vedo come una donna possa essere inferiore a un uomo. Anzi, l’esasperazione fisica e tattica negli uomini, porta a volte a perdere di vista i fondamentali. Che dire, ad esempio, degli «stop a seguire» di Brel Embolo? Se fosse una ragazza a far scivolare la palla 4-8 metri avanti per poi inseguirla, spesso invano, chissà quante risate.
L’unico gap da colmare è di carattere fisico. Sul piano della forza bruta l’uomo detiene ancora la supremazia. Ma è solo una questione di tempo. Il gap si sta assottigliando velocemente. Agli inizi del secolo scorso il divario di tempo di percorrenza sui 100 metri piani era di 3 secondi netti: 10,6 secondi per lo statunitense Donald Lippincott; 13,6 quello della ceca Marie Mejzlíková. Ai Giochi Olimpici del 1968 a Città del Messico era sceso a 1,13. Attualmente siamo a 0,91 centesimi di differenza tra il 9,58 di Usain Bolt e il 10,49 di Florence Griffith-Joyner.
Non ho preso in considerazione lanci e getti poiché le/i rappresentanti dei due sessi gareggiano con attrezzi dal peso differente. Ma l’analisi proposta per i 100 metri vale anche per tutte le altre discipline della corsa e del salto.
Insomma, dati alla mano, la marcia trionfale delle donne verso la parità nello sport è e sarà inarrestabile. A quando una Champions League mista? Sono aperte le scommesse. In Ticino avanziamo molto a rilento. Nel calcio, il Lugano femminile, a causa degli scarsi mezzi, dei fragili risultati e di un seguito ridottissimo, ha chiuso bottega a campionato in corso, nonostante le ragazze si fossero messe a disposizione per autofinanziarsi le trasferte. Gran brutta storia!
Nell’hockey su ghiaccio le Ladies bianconere, spesso vincenti, sono seguite da un pubblico che rappresenta il 5% di quello dei loro colleghi uomini, meno vincenti rispetto ad alcune stagioni fa. Si vede che è una questione di mentalità. Non di successi.