Pandemia, le prove della seconda fase

/ 18.05.2020
di Peter Schiesser

Lo sapevamo: non c’è ritorno al passato, solo l’incerta via verso un futuro da costruire. Ogni briciolo di normalità che ci conquistiamo è avvolto nell’anormalità della situazione provocata dal Coronavirus, tuttora fatta di distanze fisiche, mascherine, disinfettanti, paure. Non possiamo rilassarci davvero, ora che muoviamo i primi passi nella «società», anche se ogni (prudente) passo verso la normalità ha l’eccezionale, esaltante gusto di una libertà ritrovata – per chi sa godersela e non gira con il terrore di infettarsi con ogni persona che incrocia, ogni cosa che tocca.

La seconda fase è forse ancor più difficile della prima, in cui il pressante invito a stare a casa aveva il rassicurante tono dell’ordine paterno a un bambino di andare a letto e spegnere la luce. Il pericolo restava là fuori, in casa avevamo la sicurezza che ci serviva affinché la paura di un immane pericolo sconosciuto non si trasformasse in panico. Ora al pericolo (oggettivamente ridotto, al momento) dobbiamo esporci. Gli amici e gli affetti chiedono il loro spazio, il lavoro e la vita in società pure. E in questa seconda fase si colgono facilmente i segni che la grande concordia che aveva segnato la prima, dandoci la sensazione di essere tutti più uniti e solidali, si sta sbriciolando. Riaffiorano polemiche, asti, nervosismi, divisioni. Certo, a chi non sta stretto il corsetto di un «regime presidenziale», il controllo delle forze dell’ordine sulla vita pubblica e privata dei cittadini? Tuttavia sarebbe un gran peccato non far tesoro di un ritrovato senso di unità e fiducia, nelle autorità, nel prossimo, persino nell’avversario politico, considerato che abbiamo percorso ancora solo pochi chilometri di questa maratona impostaci dal Covid-19, sia in termini sanitari, sia economici.

Nel nostro personale percorso di ritorno alla vita sociale, che sia titubante, coraggioso, prudente, ansioso, è forse utile tener conto di un fatto determinante, che ci dà un vantaggio rispetto ad altri paesi: in Ticino e in Svizzera la grande serrata è avvenuta giusto in tempo per evitare scenari visti a pochi chilometri di distanza, in Lombardia (come il corteo di autocarri militari a Bergamo con le bare da incenerire altrove). Durante una pandemia il ritardo di una settimana può risultare fatale. In altri paesi non è stato così: chi ha ignorato, sottovalutato, sbagliato strategia all’inizio ha dovuto ugualmente imporre un lungo lockdown totale, ma senza riuscire ad appiattire la curva dei contagi. Negli Stati Uniti, per esempio, i contagi, le ospedalizzazioni e i decessi continuano ad aumentare, ma i dirigenti della superpotenza mondiale sono ormai convinti che l’economia deve ripartire, costi quel che costi, e il prezzo si misurerà in altre decine di migliaia di vittime in più. L’impreparazione degli Stati Uniti, aggravata da un presidente come Trump (la sua amministrazione aveva dapprima indebolito l’autorità preposta alla sorveglianza epidemiologica, il presidente ci ha poi messo del suo negando per due mesi la pericolosità del virus), sta mettendo a dura prova la resistenza e la compattezza del paese. Lo stesso problema lo subisce la Russia. E queste sono incognite geopolitiche da non sottovalutare.