La congiuntura economica è entrata nell’ultimo quarto dell’anno e dagli istituti che si occupano di previsioni stanno giungendo note relativamente ottimiste per quel che riguarda i risultati per l’anno intero.
I lettori forse si ricorderanno come le previsioni relative all’evoluzione del prodotto interno lordo si siano modificate a partire dall’inizio della pandemia di coronavirus. A metà marzo si riteneva che l’economia svizzera sarebbe passata per una lieve recessione. Per il 2020 si prevedeva così una diminuzione del Pil dell’ordine dell’1,5%. Alla fine di aprile, nel culmine della pandemia, le prospettive erano diventate nerissime. Si pensava allora che nel 2020 avremmo conosciuto la peggiore recessione economica da sempre – o per lo meno da quando esistono stime per gli aggregati della contabilità nazionale, ossia dalla fine della prima guerra mondiale. Si parlava allora di una diminuzione del Pil superiore all’8%.
Di fatto una recessione di questa ampiezza c’è stata, ma solo nel secondo trimestre. Le stime della SECO davano infatti, per i tre mesi da aprile a giugno una riduzione del Pil pari a –8,2%. Da giugno a oggi la situazione è migliorata. A inizio agosto, tuttavia, si continuava a pensare che la ripresa dopo la pandemia sarebbe stata più lenta di quella che si era manifestata dopo la crisi finanziaria del 2008. Nelle ultime settimane, però, l’ottimismo è tornato ad essere di rigore tra gli specialisti delle previsioni congiunturali.
A fine agosto il KOF del Politecnico federale di Zurigo stimava che la diminuzione del Pil per il 2020 sarebbe stata solo del 4,7%. Il gruppo di esperti per l’esame della congiuntura della Confederazione ha, a sua volta, rivisto la sua previsione dal –6,2% di fine giugno a –5%. Anche il BAK Economics ha ridotto l’ampiezza della recessione, correggendo la diminuzione del Pil per il 2020 da –5,8% a –4,5%. non si tratterebbe comunque di una recessione da poco. Il tasso di diminuzione del 5% è vicino a quello che l’economia svizzera ha sperimentato nel 1975, l’anno in cui, sin qui, si registrò la recessione maggiore. Chi dei lettori può contare sulle ottanta primavere, come il sottoscritto, si ricorderà forse che nel 1975 la recessione era costata al nostro paese diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro. Di conseguenza, anche se la situazione in materia di previsioni dovesse ancora migliorare, da qui alla fine dell’anno, la pillola da trangugiare sarà molto amara.
Oltre a rivedere verso il basso l’ampiezza della recessione gli esperti si interrogano al momento sulle ragioni che possono spiegare questo miglioramento e soprattutto perché l’economia svizzera sembra, fino ad oggi, aver sopportato meglio i contraccolpi della pandemia dell’economia dei paesi a noi vicini. Il fattore che viene citato in quasi tutti i commenti è quello di sempre: la struttura particolarmente bilanciata del nostro sistema di produzione. Anche in questa occasione, l’apporto al Pil dei rami che più hanno sofferto delle conseguenze negative della pandemia – come il turismo, per fare un solo esempio – è in Svizzera meno importante che in paesi come l’Austria o l’Italia. Il contributo, invece, di rami come il farmaceutico – che sicuramente ha tratto profitto dalla pandemia – è certamente più importante in Svizzera che nei paesi confinanti. A spiegare la migliore tenuta dell’economia svizzera rispetto a quelle degli altri paesi europei vengono poi citati aspetti circonstanziali come il fatto che il lockdown sia durato meno che in altre economie o il fatto che il consumo abbia ripreso rapidamente, una volta terminato il periodo di chiusure. Sembra tra l’altro che l’ottimismo dei consumatori perduri e non sia stato influenzato negativamente dall’aumento dei casi di pazienti contagiati di queste ultime settimane.
I commentatori convengono infine nell’attribuire alla politica di sostegno dello Stato una buona parte del merito per il miglioramento della congiuntura registratosi nel corso degli ultimi mesi. Ci sono però anche dei cattivi auguri che si chiedono se il fatto, per loro irritante, che il numero dei fallimenti sia attualmente inferiore a quello registrato nel 2019 non sia la prova che lo Stato sia andato a sostenere anche aziende che – indipendentemente dalle perdite generate dalla pandemia – non erano più in grado di continuare la propria attività. Sì, cari lettori, come potete constatare anche nel commento alla congiuntura economica c’è sempre chi va a cercare il pelo nell’uovo!