Orgoglio e pregiudizio

/ 29.08.2022
di Giancarlo Dionisio

Dai recenti Campionati Europei – quelli di nuoto di Roma e quelli generali di Monaco di Baviera – il Ticino si è portato a casa 3 medaglie. Argento sui 100 delfino per Noè Ponti; argento sui 400 piani per Ricky Petrucciani; bronzo nel Cross Country olimpico per Filippo Colombo. E pensare che il poker sarebbe stato lì da cogliere se Ajla Del Ponte non fosse incappata nella classica stagione nera e Noè non fosse partito per Roma con un deficit di preparazione dovuto al Covid. Ajla la attendiamo. Tornerà sui suoi livelli e oltre. Ne sono convinto. Noè e Filippo hanno ulteriori margini di crescita. Loro sono solo la punta dell’iceberg. Quella che si vede da lontano. Quella da raggiungere, non da evitare. Esiste anche una ricca realtà sommersa, fatta di lavoro, fatica, sudore, ambizioni. Di risultati che migliorano giorno dopo giorno. Potrei citare i giovani del progetto olimpico di Aiuto Sport Ticino patrocinato da AIL. Sono 8 ragazze e ragazzi che inseguono il sogno a 5 cerchi, magari già quello parigino del 2024. Sono ambiziosi, non velleitari. Qualcuno di loro ce la farà.

In Ticino siamo circa 353mila. Ciò significa che in agosto ci siamo goduti una medaglia ogni circa 117mila abitanti. Non è poco. Secondo queste proporzioni l’intera delegazione svizzera avrebbe dovuto conquistarne 73. Invece, dalle 2 manifestazioni citate ne sono giunte 18. Siamo nettamente al di sopra della media nazionale. C’è di che essere orgogliosi. Fra le varie classifiche che ci vedono in coda, ce n’è una che ci vede primeggiare. Evviva! Qualcuno potrà senza dubbio obiettare: «Chi se ne frega, sono altre le graduatorie che contano». È un’osservazione legittima, tuttavia credo che sia giusto attribuire l’adeguato valore ai successi che i nostri giovani ottengono in giro per il mondo. Vale per gli sportivi. Vale per chi si distingue nelle arti, così come per coloro che si mettono in luce nelle cosiddette Olimpiadi professionali che coinvolgono cuochi, meccanici, tecnici e artigiani di vario genere, ma anche per quelli che ogni estate si mettono a disposizione gratuitamente in campi e colonie, integrate o meno che siano. Sono l’immagine di un Ticino che si muove. Che vorrebbe continuare ad operare entro i confini cantonali, senza per forza dover cercare fortuna altrove. È un Ticino che dà segnali. Che risponde a viva voce ai dati preoccupanti relativi alla violenza giovanile, al disagio e al bullismo. Quei numeri parlano chiaro, raccontano storie tristi di ragazzini e ragazzine in balia della solitudine e dei loro fantasmi. Vittime spesso inconsapevoli di colpe che travalicano le loro coscienze. Ma per fortuna sono una minoranza. Il ruolo della cosiddetta parte sana della società non dovrebbe essere sanzionatorio, quanto piuttosto propositivo. Noè, Filippo, Ajla, Ricky, e tutti gli altri che stanno dando l’anima per crescere, sono i nostri veri ambasciatori. Sono i testimoni di un cantone che ha in mano tutte le carte per svegliarsi e darsi una mossa. Mi richiamano il celeberrimo «Yes we can» di Barak Obama. Possiamo. Seguendo l’esempio di chi ce la fa. Creando le condizioni e le strutture affinché anche i giovani più timidi e più fragili possano individuare la loro strada. Una strada che porta al successo. Quello personale, che non necessariamente è condito di allori e medaglie. Quello che – la sera quando ti corichi – ti suscita pensieri e immagini positive. Che ti fa sentire parte di un insieme che marcia verso un obiettivo comune: lo stare bene insieme. La crisi climatica, checché ne dicano i negazionisti, incombe. I giovani ce lo hanno ricordato. Con tutte le imprecisioni che caratterizzano la loro verde età. Ma anche con tutto l’entusiasmo che li contraddistingue. Continuano a ricordarcelo. I giovani sportivi e i giovani artisti lo fanno a modo loro. Sta a noi adulti ascoltarli. Assecondarli. Se necessario proponendo loro suggerimenti o eventuali correttivi. Senza imporglieli. Loro sanno meglio di noi che cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Nella peggiore delle ipotesi potremmo affermare che stando in vasca, in campo, in pista o in palestra non hanno provocato e non provocheranno danni alla società. Tutt’al più a loro stessi, qualora fossero gestiti male. Ma questo è un altro discorso. Inoltre ci regalerebbero, come hanno fatto i 3 medagliati europei, qualche attimo di emozione, di sano batticuore e di orgoglio nazionale.