Orban, la deriva della pandemia

/ 06.04.2020
di Aldo Cazzullo

Il Parlamento ungherese prima di chiudere vota i pieni poteri a Viktor Orban. Una strada inquietante. Orban, all’evidenza, guarda a Putin come modello: ha un certo consenso popolare, e se ne avvale come di una leva per prendere i pieni poteri, individuando di continuo un nemico nei migranti, nella globalizzazione, nello straniero, nell’altro. Come minimo, dovrebbe essere espulso dal partito popolare europeo. Ma se Orban ha fatto quello che ha fatto, è perché sa bene che l’Europa non è mai stata così debole.

Incredibilmente, in Italia Matteo Salvini e Giorgia Meloni, anziché prenderne decisamente le distanze, hanno avuto per il satrapo di Budapest parole comprensive. Questo la dice lunga sulla qualità democratica dei cosiddetti sovranisti. Se fossero stati loro a gestire la crisi, probabilmente non sarebbe cambiato nulla, anzi. Il problema è che la crisi in Italia è stata gestita malissimo. E infatti sta provocando, come e più che nel resto d’Europa, una crisi non solo sanitaria ma pure economica e sociale.La storia non si ripete mai. I riferimenti storici in questi giorni ormai si sprecano, e inevitabilmente sono tutti un po’ fuorvianti. Ma se proprio si deve scomodarne uno, per l’Italia è Caporetto, la disfatta della Grande Guerra. L’Italia è il Paese con più morti al mondo, e dopo tre settimane di clausura continua a perdere centinaia di vite al giorno.

È evidente che non è colpa di una persona, ma di un sistema. La politica ha passato gennaio e febbraio a litigare sulla prescrizione, anziché preparare strutture e protocolli per l’emergenza. Quando il virus è arrivato, quasi tutti gli ospedali lombardi – tranne il Sacco a Milano – e non solo quelli sono diventati focolai. Ci sono state intuizioni geniali di singoli, come l’anestesista Annalisa Malara, che a Codogno ha avuto l’idea di verificare se l’atleta trentottenne che non guariva dalla polmonite avesse il coronavirus. C’è stato il sacrificio di medici, infermieri, militari, forze dell’ordine. Ma lo Stato non li ha protetti con materiale sanitario adeguato. Ci sono stati slanci individuali, ma un’organizzazione complessiva disastrosa. Ora si parla di nuovo di riaprire il Paese. Legittimo. Ma prima bisognerebbe fare uno screening di massa. Legare il tampone al ricovero è un errore clamoroso.

Nessuno va volentieri in ospedale; a maggior ragione in questi giorni. In ospedale si va quando è tardi; a volte, troppo tardi. Da giorni i virologi sostengono che bisogna fare tamponi a domicilio ai sintomatici e ai loro familiari, per evitare che il nuovo focolaio diventi la famiglia; ma non si è ancora passati dalle parole ai fatti.A tutto questo si aggiunge la crisi europea, aggravata dalla mossa di Orban. Per Angela Merkel sono giorni decisivi. La Cancelliera deve decidere se vuole passare alla storia come una statista al servizio dei tedeschi, o come prima leader europea. Ursula von der Leyen, che chiaramente risponde alla Merkel, prima ha mandato un affettuoso messaggio in un italiano stentato, poi ha scritto una lettera a «Repubblica» con parole di nobile solidarietà; e solo giovedì, per contrastare la crisi economica innescata dalla pandemia, ha annunciato «Sure», il primo piccolo passo europeo di aiuti da 100 miliardi.

Non basta certo consentire a Francia, Italia, Spagna di spendere i loro soldi, facendo altro debito. Occorre fare debito europeo, condiviso. Ora i capi di governo stanno lavorando a un compromesso: no agli eurobond, sì a obbligazioni emesse dalla Banca europea degli investimenti (Bei), più accesso agevolato al cosiddetto fondo salva-Stati (Mes) senza condizioni capestro, tipo quelle che hanno affondato la Grecia. Ma la sensazione è che senza una straordinaria mobilitazione economico-finanziaria non verranno poste le garanzie e ristabilita la fiducia necessaria per affrontare la grande depressione che si intravede davanti a noi. E che potrebbe alimentare scorciatoie autoritarie come quella che Orban ha fatto imboccare all’Ungheria.