Odermatt è il nuovo Federer?

/ 27.03.2023
di Giancarlo Dionisio

Poche settimane fa avevo scritto di ipotetici scenari apocalittici, senza più neve, senza più sci. Ovviamente, spero che la scienza, la politica, il moltiplicarsi di comportamenti virtuosi, o un mago munito di superpoteri, possano scongiurare questa infausta ipotesi.

Non avendone la certezza, prima che sia costretto a fare la riverenza, urge la celebrazione di un grandissimo campione, che molti sostengono si stia insinuando nel cuore degli svizzeri, accanto al sommo vate del tennis, Roger Federer. A cosa servono i campioni? Anzitutto a farci trascorrere qualche ora serena davanti al teleschermo. A renderci adepti di una congregazione che professa una fede comune. A farci sentire uniti durante il rito.

Nel campo del tennis, a mano a mano che si avvicinavano i turni finali di un Grande Slam, fino a poco tempo fa, a questa cerimonia para-religiosa, partecipavano moltissimi svizzeri. Oltre ovviamente alle migliaia di seguaci disseminati in ogni angolo del globo. Con Federer sul pulpito, si conosceva il momento in cui il Sacerdote avrebbe pronunciato la prima formula: «Nel nome del Padre, del Figlio…». Ma nessuno, neppure lui, sapeva quando avrebbe proferito quella finale. «Ite, missa est» poteva giungere dopo un rito abbreviato di poco più di un’ora, ma poteva tardare al punto da mantenere i fedeli in preghiera per oltre cinque ore.

La liturgia cambia radicalmente quando scende in pista Marco Odermatt.

Nelle discipline veloci l’asso nidvaldese si gioca tutto in circa due minuti. Se parte per primo, il rituale prevede semplicemente l’attesa dei 10-15 avversari ai quali si riconosce un barlume di chances. Una mezz’oretta di fibrillazione, prima che anche il cantastorie, alla tv, riconosca che i giochi sono fatti.

Nelle prove tecniche, l’attesa è capovolta. Scendono dapprima gli altri, gli avversari. Aggrediscono pista e paletti. Si spingono oltre i loro limiti nel tentativo di alzare l’asticella. Alla fine si lancia lui, il Pontifex Maximus. Dopo una prima manche-capolavoro deve solo decidere se fare altrettanto, oppure difendere il vantaggio accumulato. Nelle sue corde Marco Odermatt racchiude entrambi gli atteggiamenti. Si lascia trasportare da un intuito e da una sensibilità sulla neve che sono senza pari. E di regola vince.

Quest’anno lo ha fatto per 13 volte, eguagliando il primato stagionale detenuto dagli austriaci Marcel Hirscher ed Hermann Maier, e dall’icona svedese Ingemar Stenmark. Con 2042 punti complessivi ha demolito il record che apparteneva a Herminator da 23 anni, e si è messo in bacheca la Sfera di cristallo, e le Coppe di Gigante e Super G.

Sono sforzi diversi quelli di Federer e Odermatt. Per la durata del gesto, e per la fruizione. Entrambi sono però stati capaci di incollare gli appassionati allo schermo. Entrambi hanno saputo innescare sentimenti di stima, simpatia, amorevole entusiasmo.

Dopo l’oro in discesa libera ai recenti Mondiali, qualcuno ha azzardato il paragone fra i due assi. Marco, imbarazzato, ha ringraziato per il pensiero: «Io sono io. Lui è un gigante». Non sono le parole esatte, ma il concetto è questo. In realtà alcune affinità fra i due sono palesi. Anzi tutto la facilità e la leggerezza del gesto. Là dove gli avversari sembrano trasportare l’universo sulle spalle, Marco e Roger fluttuano serenamente nell’aere, quasi fossero eteree figure soprannaturali.

Federer lo ha fatto per quasi 20 anni. Odermatt, a 25 anni, scongiurata la premessa iniziale, potrebbe presto entrare nell’Olimpo dello sci e dello sport di tutti i tempi. Come sempre il condizionale è d’obbligo. Ma io ho fiducia. Ho la vaga sensazione che il nostro sciatore abbia delle risorse caratteriali ancora superiori a quelle del tennista, che era un meraviglioso e raffinatissimo distillato di talento puro. Sono convinto che Roger, con il fisico di Nadal e la testa di Djokovic, avrebbe lasciato solo le briciole al resto del mondo. È quanto sta facendo Marco. Mi auguro, e soprattutto gli auguro, che anche lui possa trovare presto il suo Rafa e il suo Nole.

Pinturault, Kristoffersen e Aamodt-Kilde vedono l’imbocco del Sunset-Boulevard. Aspettiamo quindi la Next Gen norvegese o il risveglio degli austriaci. Sfide più aperte e più vibranti non potrebbero che ingigantire il mito di questo giovane campione nato e cresciuto nel cuore di Helvetia.