O la borsa o la vita

/ 03.02.2020
di Lina Bertola

«Ricordati che ci devi passare tutta la vita con te stessa. Soddisfa i tuoi desideri. Perdonati gli errori. Saluta il passato. Amati».
Guarda! Che belle idee! Quasi quasi me le compero. Sono anche molto convenienti, addirittura a metà prezzo.
Due signore a passeggio, in un grande magazzino, reparto borsette.

Di borsette pensanti ce ne sono tante in esposizione. Borsette un po’ autoritarie, pronte a mortificare la tua presunta inadeguatezza nei confronti della vita, ma altrettanto pronte a sedurti, desiderose di accompagnarti con un tocco di generosa bellezza. E terapeutiche, anche. Altro che camminare e basta, se ne compro una e la indosso, se la porto a spasso con me, mi posso nutrire anche di tutto il benessere ricamato.

Con un sussulto quasi metafisico, una nuova moda sembra dunque volersi sostituire a pacchianissime griffes, capaci solo di evocare spudoratamente il volto felice del consumo. Così, quasi per caso, stiamo forse assistendo ad un’ultima frontiera dell’esibizione. Di quell’esibizione dell’umano che sempre più porta ad identificare il nostro stare al mondo con il far vedere «cose» di noi stessi (dai funghi raccolti in luoghi segreti, ai piatti cucinati o assaporati, da performances sportive a perle di saggezza, trovate chissà dove, dentro o fuori di sé). Siamo alla versione online, insomma, di quel «faccio cose, vedo gente», felice intuizione con cui Nanni Moretti anticipava, in Ecce Bombo, le derive prossime venture del nostro vivere e convivere.

Derive, sì, perché portando a spasso questi oggetti non sei più tu ad esibire pensieri «tuoi», seppur pescati dentro pensieri già pensati (ah, le gabbie del mainstream!). Con quei pensieri «tuoi» puoi infatti continuare ad esibire te stesso, identificandoti con loro, a volte anche solo per un agognato «mi piace». Al contrario, i pensieri appiccicati su plastiche colorate, o cuciti su «vera pelle», sono loro ad esibire te, come farebbe un buon life counselor (espressione intraducibile) che, stando nell’ombra, è in grado di migliorare la tua immagine.

Consumismo metafisico, appunto.
E non a caso, forse, ciò può accadere proprio dentro una borsetta, oggetto ambivalente e accogliente, pronto a custodire frammenti della nostra soggettività.

L’amica della signora ormai esibita a metà prezzo (felicissima di passare così tutta la vita con se stessa, di soddisfare i propri desideri, salutando il passato e amandosi) esprime a questo punto tutto il suo scetticismo sulla scelta e con entusiasmo alternativo indica invece la sua preferita: «tenete gli occhi aperti che certe cose sono più belle dei sogni». Come dire, guarda quante cose belle, non hai bisogno dei sogni! Anche perché per sognare bisogna vedere chiudendo gli occhi sulle cose del mondo. Guardare non è vedere: anzi, guardare il mondo, tutto squadernato davanti ai nostri occhi, può impedire di vedere (la radice greca del verbo indica anche avere un’idea, comprendere). La vista, nel pensiero greco, è profondamente legata all’esperienza umana del pensare. In Platone, ad esempio, è metafora della conoscenza e sorgente della trascendenza: alla vista della bellezza di un corpo, posso ritrovare, scritto nell’anima, il ricordo di una bellezza più grande, altrove conosciuta.

Ma noi abitiamo un mondo che si lascia guardare, senza suggerire alcun altrove. E alla signora piace tanto l’ invito a guardare meglio questo mondo qui, pieno di cose belle. Un volto nuovo di questa nostra cultura dell’esibizione? Forse sì, perché stare dentro l’accecante visibilità del mondo è un po’ come ritrovarsi in uno specchio, con il rischio di vedere, questa volta sì, vedere, solo quel riflesso di sé, quel «nulla» tanto amato da Narciso.

Al di là delle preferenze delle due amiche, al di là di improbabili messaggi filosofici svolazzanti tra gli scaffali, resta il fatto che questi «comandamenti» sembrano soprattutto suggerire un nuovo bisogno: quello di una guida, seppur di stoffa, per camminare con sicurezza nella vita, secondo il monito di Cartesio.

E a proposito di Cartesio, e della res cogitans grazie a cui esistiamo, segnalo che, ben visibile accanto alle due prescelte, c’era un’altra borsa, ma è passata piuttosto inosservata. Modello abbastanza elegante e scritta sobria: «segui il tuo cuore, ma tieni con te la testa».
Forse, nella sua banalità dal sapore un po’ moralistico, è parso alle signore un «comandamento» inutile.
Anche perché la testa c’è sempre, eccome: a prova di selfie.