Nutrire i principi democratici

/ 15.02.2021
di Lina Bertola

La democrazia non ha più nemici, ma non ha più democratici che la sorreggano. Di questo ha oggi un estremo bisogno. Sono recenti considerazioni del filosofo francese Marcel Gauchet in merito all’ampio dibattito sullo stato di salute delle nostre democrazie, alle prese con molte fragilità e possibili derive.

È una visione interessante perché mette in luce un aspetto spesso trascurato nel dibattito politico, ovvero il legame tra etica e politica. Al di là delle forme in cui si esprime, l’organizzazione politica di una società ha un forte significato simbolico in cui gli individui si riconoscono e in cui riconoscono il senso della convivenza.

Riflettere sugli aspetti etici delle società a partire dagli individui che le compongono rimanda alla nostra postura nei confronti del vivere e del convivere e al rapporto, a volte conflittuale, tra comportamenti pubblici e privati.

Evviva la democrazia, dice il filosofo, peccato che manchino i democratici!

Ecco allora la domanda etica: esiste uno scarto insondabile tra pubblico e privato, tra queste due esperienze del nostro stare al mondo? Tra ciò che di noi è visibile e dicibile, e perciò valutabile, e ciò che invece cerchiamo di custodire nel silenzio della più totale invisibilità?

A qualcuno sarà pur capitato di ricevere una visita improvvisa e di sentirsi impresentabile. Qui il disagio è provocato da ragioni esteriori, di apparenza, ragioni limitate ad una preoccupazione puramente estetica: sono in pigiama, spettinata, non un bel vedere insomma, meglio non aprire la porta e mantenere il segreto.

L’impresentabilità può però toccare anche aspetti più sostanziali del nostro essere; può riguardare pensieri e comportamenti: qui le sue ragioni si aprono alla dimensione etica.

La riflessione sul rapporto tra i comportamenti con cui ci presentiamo in pubblico e ciò che custodiamo nella sfera privata perché ritenuto impresentabile ha radici antichissime, fin dal celebre dibattito su essere e apparire tra Socrate e il sofista Trasimaco, contenuto nella Repubblica di Platone. Si parla del valore dei comportamenti giusti e del loro rapporto con la felicità. Trasimaco sostiene che l’uomo più felice è colui che è intimamente ingiusto ma capace tuttavia di apparire giusto. Ovviamente Socrate contesta: meglio essere uomini giusti, quandanche si corra il rischio di apparire ingiusti. L’etica sembra dunque fondarsi, innanzitutto, sull’autenticità e sulla rinuncia ad apparire diversamente da quello che siamo.

Un dibattito interminabile ha poi attraversato i secoli successivi proprio attorno alla capacità della natura umana di essere sempre autentica nel rapporto con gli altri, ma soprattutto attorno alla reale felicità che questo atteggiamento comporterebbe.

Il rapporto tra pubblico e privato può mostrare anche altri risvolti, già evidenziati da Platone quando propone per i governanti la comunità di beni e affetti, proprio per scongiurare possibili conflitti di interesse. Questione attualissima che ci riporta al tema della fragilità delle nostre democrazie. L’interrogativo attorno ai nostri conflitti interiori può allora declinarsi anche così: siamo tutti consapevoli del valore dei principi democratici per una convivenza giusta e possibilmente felice, ma quanto sappiamo, o desideriamo, alimentare questi principi nei nostri piccoli mondi privati?

Quanto sappiamo, e desideriamo, coltivare l’equilibrio tra il soddisfacimento dei nostri bisogni di affermazione personale e le esigenze dell’altro? Quanto sappiamo sostenere convintamente le nostre idee pur nel rispetto del pensiero di un altro e del fatto che questo altro possa avere ragioni migliori delle mie?

Alla coscienza democratica, insomma, è necessario educarsi, nel senso ampio del termine che significa appunto coltivare il valore intrinseco alla vita e alla convivenza.

D’altra parte, nutrire i principi democratici rimane un compito irrinunciabile delle democrazie stesse. Altrimenti le attuali fragilità possono anche scoppiarci tra le mani e aprire le porte a derive indesiderate.

Le parole di Alexis de Tocqueville, nell’opera del 1835 dedicata alla democrazia in America, risuonano come un monito attualissimo. Con incredibile lungimiranza osserva come gli uomini che vivono in tempi democratici abbiano bisogno di essere liberi per potersi procurare i piaceri materiali a cui aspirano senza sosta. Può succedere tuttavia che il gusto eccessivo per questi godimenti materiali li consegni al primo capo che si presenti. «Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla di uomini uguali, intenti solo a procurarsi piccoli piaceri volgari con cui riempire il proprio animo. Ognuno di loro, chiuso in sé stesso, diventa estraneo al destino di tutti gli altri».